Non è solo una guerra tra Israele e Iran

Dobbiamo essere chiari: questa guerra non è solo un conflitto tra due popoli o due nazioni

Non è solo una guerra tra Israele e Iran

Israele ha dato guerra all'Iran. Era necessario? Sarei portato a dire di no. Ma, nei panni di un ebreo il cui vicino di casa sta lucidando la sua pistola per ammazzare i miei cari, dico che era ora, bisognava; abbiamo già visto i nostri padri e fratelli uscire come un filo di fumo dai camini di Auschwitz, permetteteci di tutelare il diritto alla vita dei nostri figli e nipoti. Ovvio. Tutti noi avevamo sperato che almeno questa guerra ci fosse risparmiata. Perché il mondo, già fin troppo carico di orrori, non ha bisogno di un'altra secchiata di sangue. Ci tocca analizzare i fatti, anche se il lettore ne sarà già stufo. Israele ha una forza militare soverchiante. Possiede anche armi nucleari (circa 150). L'Iran è a un passo dal metterne insieme almeno 15. Gerusalemme le custodisce in cantina e le tiene per deterrenza. Teheran non le prepara per tenerle in freezer. Se le ha e lo dice e ridice -, le usa. Non le importa che Israele replichi un istante dopo averle viste in volo. Perché se la ragione sociale dello Stato Ebraico è di esistere, lo scopo dichiarato del regime degli ayatollah, da quando Khomeini è salito al potere nel 1979, tra gli applausi idioti delle anime belle parigine e newyorkesi è stato di «annientare l'entità sionista». È gente di parola, quella. Lo volevano fare anche gli arabi, sin dal 1948. Ci hanno riprovato con conflitti a tradimento e terrorismo di massa, sapendo che a loro basta vincere una guerra, mentre Israele se ne perde una, è l'ultima. Ma Israele è stata fin qui sempre la nazione più forte.

Stavolta non è scontato che finisca bene, anzi che neppure finisca.

Questa non è una guerra tra Israele e Iran. Siamo implicati. Israele è costitutiva della nostra identità. Può essere antipatico, ma è ossa delle nostre ossa. Fratello maggiore, che abbiamo cercato di uccidere per duemila anni. Bisogna fare di tutto affinché il conflitto resti dentro i confini dei due Paesi, e che si spenga, ci mancherebbe.

Ma anche che non esistano più le condizioni perché gli ebrei finiscano in qualche nuovo tipo di forno. Di certo, perciò, senza il sostegno diretto americano, è ben difficile che uno Stato di sette milioni di abitanti, ne porti alla resa uno di novanta milioni, settantacinque volte più grande (1.640.000 chilometri quadrati contro 22.145). Tanto più che intorno ci sono in movimento forze insaziabili e generatrici di nuovi conflitti.

I famosi pezzi di terza guerra mondiale (copyright Papa Francesco) che sembrano frantumarsi, in realtà cercano la chioccia che li metta sotto le sue ali, e perciò si stanno coagulando in due fronti. Semplifico. Da una parte l'Occidente più o meno pieno di galletti gelosi l'uno dell'altro, ma per fortuna condannati a stare litigiosamente insieme, con la eccezionalità di Israele a unirli e a dividerli. Dall'altra, l'Oriente, che però accetta la gerarchia delle potenze, in quest'ordine: Cina, Russia, Iran. (L'India per ora balla da sola).

Trump stava e sta cercando, talvolta bislaccamente (o, Dio lo voglia, forse genialmente), di organizzare una pace tra queste porzioni di mondo. Non voleva che Israele si muovesse. Ha provato a indirizzare la storia verso un'altra soluzione. Il fatto è che quando persino l'Onu, che è tutto meno che filo ebraica, ha denunciato l'imminenza della bomba atomica persiana, e nel contempo gli ayatollah tergiversavano, prendendo tempo nelle trattative riaperte da Trump in Oman, ha dovuto far prevalere l'evidenza della minaccia per se stessa, e il suo diritto di vivere.

Prendere tempo per l'Iran non vuol dire riflettere, studiare, proporre soluzioni di coesistenza. Con Israele? Figuriamoci. Vuol dire dissimulare e invece agire per annientare. In che modo? 1) Facendo vorticare le centrifughe per arricchire uranio, indi montare il giocattolo mortifero; 2) colpire tramite Hamas con i suoi ostaggi, Hezbollah in Libano, truppe sciite in Irak, gli Houthi in Yemen; 3) rafforzando intese con Cina (energia,

controllo del Golfo Persico e degli stretti verso Suez) e Russia (droni, triangolazioni di merci e finanze).

Prima che queste tre mosse dell'Iran andassero a dama, l'intelligence ebraica ha visto aprirsi una finestra di tempo e di opportunità, come il passaggio di una cometa, cui afferrare la coda, adesso o mai più. Al prossimo passaggio dell'astro vagante nell'universo, Israele non sarebbe più esistito. L'ha riferito Netanyahu a Trump, che non ha detto di no. Bisognava proprio. Adesso. Perché quella stessa occasione era stata colta anche dai Guardiani della rivoluzione islamica. Il loro capo non è riuscito a trattenersi, il latte bolle, esce dal pentolino. I tiranni non sono perfetti. Dice Hossein Salami: «Più che mai, il terreno è oggi fertile, con la grazia di Dio, per l'annientamento, la distruzione e il crollo del regime sionista». Ho scritto «Salami dice». Anzi ha detto, disse, Salami non è, fu: polverizzato nel suo appartamento.

Questa è stata l'azione di Israele. Decapitazione del regime per favorire un cambio di regime. Il quale però è un'Idra cui invano tagli una testa: ricresce. Per questo Israele insiste e insisterà.

Non gli basta più guadagnare tempo. Il Medioriente esplode. Si può disinnescare con una guerra, come si agisce talvolta per spegnere l'incendio della foresta, liberando brutalmente il terreno?

L'esperienza di questi anni ci dice di no. Bush ci ha provato in Afghanistan e in Irak: è stato un disastro.

La differenza positiva è che Israele non è l'America.

Dobbiamo essere chiari: questa guerra non è solo un conflitto tra due popoli o due nazioni. Senza Israele crepiamo tutti. Fermiamo la guerra, ottimo proposito: e che nel frattempo vinca Israele.

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