Politica estera

Anomalia italiana. Dall'America alla Francia fondi e sponsor sono la normalità

Immaginate Giorgia Meloni che venga eletta Presidente del Consiglio grazie al voto diretto degli italiani (col premierato) dopo una costosa campagna elettorale apertamente sponsorizzata da enti, imprese e multinazionali

Anomalia italiana. Dall'America alla Francia fondi e sponsor sono la normalità

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Immaginate Giorgia Meloni che venga eletta Presidente del Consiglio grazie al voto diretto degli italiani (col premierato) dopo una costosa campagna elettorale apertamente sponsorizzata da enti, imprese e multinazionali: le quali poi, per scelta ma anche per gratitudine, siano chiamate in gioco nelle future scelte economiche della premier.

Non solo. Immaginate che, una volta eletta, Giorgia Meloni inviti i presidenti di questi grandi sponsor a dormire con la famiglia (a turno) nel lussuoso appartamento al terzo piano di Palazzo Chigi, 300 metri quadri con sala da pranzo di rappresentanza con tavolo da venti coperti: in Italia verrebbe giù tutto, si urlerebbe alla corruzione, spunterebbe un magistrato che accuserebbe Giorgia Meloni di aver messo «la propria funzione al servizio di interessi privati in cambio di utilità per sé o per altri» (il virgolettato è tratto da un ordine d'arresto di un'inchiesta che c'è in Liguria).

Detto questo, lo schema (magistratura esclusa) è normalissimo negli Stati Uniti: Bill Clinton, quando era alla Casa Bianca, offriva regolarmente ai suoi sovvenzionatori un weekend nella camera da letto di Abraham Lincoln. Non solo. Dopo aver lasciato la carica, è stato impegnato in discorsi pubblici pagati dalle stesse imprese/sponsor/lobbies che lo avevano sostenuto nella campagna elettorale, e verso le quali Clinton aveva favorevolmente legiferato.

Negli Stati Uniti è previsto un finanziamento pubblico alle spese elettorali dei candidati: ma siccome accettare i contributi obbliga a non accettare fondi privati sopra di una certa soglia, ecco che i candidati, in genere, preferiscono farne a meno e optare solo per gli sponsor privati, che fruttano di più. Mentre in Italia, dopo aver abolito il finanziamento pubblico e pure gli onerosi «rimborsi elettorali», abbiamo lasciato spazio a regole per prendere finanziamenti privati (purché siano rendicontati) ma neanche questo, come visto, pare sufficiente a fronte di una certa cultura del sospetto.

Noi, ossia, siamo alla preistoria e non riusciamo neanche a metabolizzare dei finanziamenti in chiaro, mentre negli Stati Uniti viceversa stanno tornando ai finanziamenti anonimi: una sentenza della Corte Suprema (2010) ha autorizzato la creazione di comitati che fungono da intermediari per ricevere da imprese, enti e sindacati dei contributi protetti dall'anonimato almeno per un certo periodo: e non ci sono limiti di spesa. Anche Nicolas Sarkozy, nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2008, non aveva nessuna voglia di far sapere che aveva ricevuto una somma ragguardevole da Liliane Bettencourt, proprietaria di L'Oréal, una delle maggiori aziende di cosmetici del mondo. Solo da noi, invece, anche «in chiaro», ci si erge a giudici di «utilità» buone rispetto ad altre cattive, con editoriali come quello del Corriere della Sera (mercoledì) secondo il quale «soprattutto a livello locale, gli amministratori non sembrano capaci di capire e imparare che certe cose non si possono fare o è meglio non farle, anche quando non sembrano reati e magari alla fine non vengono provati, o non lo sono affatto». Come se non fosse normale (all'estero) che gli eletti si servano del potere anche per pagare le spese dei loro apparati e collocare i loro fedeli in posizioni remunerate. Jacques Chirac, da sindaco di Parigi, distaccò presso il suo partito gli impiegati del Comune: all'operazione collaborò anche il sindaco aggiunto Alain Juppé che per questo fu condannato a un anno con la condizionale (che è niente) senza che ciò gli abbia impedito di essere nel frattempo ministro degli Esteri (1993-1995) e primo ministro (1995-1997).

La classe politica e l'opinione pubblica francesi, evidentemente, non l'ha ritenuto reo di colpe imperdonabili. Senza contare i tanti politici che, sempre all'estero, prenotano una seconda carriera nel mondo degli affari non appena quella politica sarà terminata. Si pensi a George Bush sr e a John Major (primo ministro britannico) nel cda di Carlyle, mega-agenzia d'intermediazione finanziaria; oppure a Gerhard Schröder, che divenne presidente del consorzio russo-tedesco Nord Stream dopo che da cancelliere l'aveva favorito in tutti i modi possibili; come fece anche Tony Blair che poi divenne consulente di J.P. Morgan per due milioni di dollari all'anno; o anche Henry Kissinger, che dopo aver negoziato con la Cina per conto degli Usa fondò la «Kissinger Associates» per chi avesse voluto stabilire buoni rapporti appunto con la Cina.

E tornando all'oggi, alle «utilità», allo scandaloso yacht che a Genova era frequentato da uomini d'ogni colore politico, basti ricordare Nicolas Sarkozy appena eletto alla presidenza della Repubblica francese: festeggiò la vittoria andando a passare un week-end sulla barca di un suo finanziatore. Non c'erano giornalisti italiani.

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