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"Berlusconi ha ragione, normale trattare. Il premier non sceglie i ministri da solo"

Il sindaco di Benevento: "Quando Silvio pose il veto e Bossi mi ripescò. Nell'esecutivo Prodi preferivo la Difesa, ma fui dirottato alla Giustizia"

"Berlusconi ha ragione, normale trattare. Il premier non sceglie i ministri da solo"

Non si scompone. «Si e sempre fatto così». Così come? Clemente Mastella, sindaco di Benevento, ha appena finito una riunione e sta per iniziarne un'altra. Ma non rinuncia a tenere una piccola lezione di politica: «Quando c'è di mezzo una coalizione, si tratta».

Chi tratta?

«Tutti trattano con tutti. Non è che il premier sceglie i nomi da solo, qui sta uscendo fuori una narrazione che è lontanissima dalla realtà: la Meloni può arrabbiarsi con Berlusconi, si può sostenere che lui abbia usato toni eccessivi, portando alla luce del sole trattative che di solito restano riservate, ma la sostanza non cambia».

La liturgia delle consultazioni è sempre la stessa?

«Certo: quando si formò il sesto governo Andreotti, non la Dc, ma addirittura la sinistra Dc, o meglio l'area Zac che non era nemmeno tutta la sinistra del partito, trattò e ottenne cinque poltrone pesanti nell'esecutivo. I cinque ministri che poi si dimisero in polemica con la legge Mammì: ricordo che fra loro c'erano Sergio Mattarella e Mino Martinazzoli di cui ero sottosegretario. La saggezza della Dc era proprio quella: mettere insieme tutte le componenti, dare spazio a tutti, il contrario di quel che si tende a fare oggi, tagliando le minoranze».

Ma non è il premier a scegliere, d'intesa naturalmente con il capo dello Stato?

«Ma quando mai. Quando la Meloni fu nominata ministro, non fu certo Berlusconi a chiamarla, ma fu Fini a caldeggiare con forza la sua nomina. Non c'è niente di strano: funziona così, andrà così anche in questa occasione e il governo Meloni sarà giudicato per la sua capacità di risolvere i problemi, cominciando dal caro bollette, non da altro».

Qui sembra di assistere a una girandola inarrestabile di nomi. Una giostra da cui si sale e si scende.

«Quando diventai ministro del governo Berlusconi lui mi chiamo».

E che le disse?

«Senza tanti giri di parole mi congedò: Tu rappresenti la vecchia politica, la vecchia Dc, mi spiace ma non posso prenderti. Io ero nel Ccd e noi avevamo diritto a due posti: la previsione era che diventassimo ministri io e D'Onofrio, ma lui mi gelò».

Però poi lei entrò davvero in quell'esecutivo. Come si capovolse la situazione?

«Fu Bossi a ripescarmi. Lui pose una serie di domande: Chi dialogherà con i lavoratori? Chi farà le trattative sindacali?. A quel punto diede pure la risposta: Mettiamo Mastella al lavoro, lui le trattative sa condurle, e il veto cadde».

A sinistra?

«Stesso meccanismo. Le racconto il mio ingresso nel governo Prodi».

Sì, perché Mastella è stato, caso unico, ministro di qua e ministro pure di là.

«Esatto. Dunque, in quell'occasione volevo andare alla Difesa, ma Prodi si era fissato con Parisi. Quindi erano rimasti l'Interno e la Giustizia».

Quella su cui si lotta anche in queste ore.

«Appunto. Io preferivo l'Interno, ma Prodi e Napolitano si consultano e partoriscono una soluzione diversa: Mettiamo Mastella, che non ha mai avuto guai con i magistrati, come Guardasigilli e Amato all'Interno».

Quindi?

«Io mi trovo in grande difficoltà, perché di giustizia sapevo poco o nulla e allora chiamo Andreotti chiedendogli un consiglio. Lui mi dice di andare senza esitazioni: Clemente, non è che il ministro dell'industria deve saper avvitare i bulloni, no, deve avere una capacità politica riconosciuta e tu ce l'hai, quindi accetta l'incarico. Un'ora dopo a casa mia c'erano i discorsi dell'ex ministro Gonnella, speditimi direttamente dal presidente del consiglio».

Fine dei dubbi?

«No, chiamo anche Cossiga e lui ironizza: Clemente, sono contento per te, anzi non so se essere così contento, perché vedrai che due o tre procure politicizzate si metteranno a indagare su di te».

Profezia azzeccata, mi pare.

«E infatti il governo, a dispetto di quel che avevano concertato Prodi e Napolitano, cadde proprio sull'inchiesta che aveva colpito la mia famiglia, spingendomi alle dimissioni da Guardasigilli».

Non abbiamo evocato la figura più importante in questa procedura: quella del capo dello Stato.

«È il convitato di pietra e può mettersi di traverso per questa o quella ragione: i casi Savona e Gratteri ci ricordano che le sorprese potrebbero non essere finite».

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