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Bolla immobiliare in Cina, "fallisce" il big Evergrande. E si teme un'altra Lehman

I titoli di coda, quelli con impresso il "the end" del fallimento, non stanno ancora scorrendo, ma Evergrande è arrivata all'ultima spiaggia

Bolla immobiliare in Cina, "fallisce" il big Evergrande. E si teme un'altra Lehman

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I titoli di coda, quelli con impresso il «the end» del fallimento, non stanno ancora scorrendo, ma Evergrande è arrivata all'ultima spiaggia. Lo ha fatto chiedendo ieri a una corte di New York, dove il gigante immobiliare cinese è quotato, di essere messo dietro lo scudo del «Chapter 15», una sorta di bancarotta protetta poiché impedisce ai creditori di aggredire, cioè di pignorare, gli asset di proprietà.

È la mossa della disperazione con cui il gigante immobiliare cinese, da tempo gravato da debiti per 300 miliardi di dollari e in default già dal 2021, cerca di prendere tempo. Nella speranza che il programma di ristrutturazione degli oneri offshore (in ballo ci sono quasi 32 miliardi, tra bond, garanzie e obblighi di riacquisto) vada a buon fine. Chi bussa alla porta pretendendo il dovuto, dovrebbe insomma accettare l'ultima proposta che prevede la vendita di nuove azioni della controllata di veicoli elettrici quotata a Hong Kong, China Evergrande New Energy Vehicle Group (-8% a Hong Kong), a Nwtn (Zhejiang) Automobile, società di prodotti per la mobilità con sede a Dubai e quotata al Nasdaq, fondata dall'imprenditore cinese Alan Nan Wu. In base all'offerta, Nwtn acquisirà il 27,5% del capitale azionario (con uno sconto unitario del 63% sui valori azionari dell'accordo siglato lunedì) dell'unità EV di Evergrande per quasi 500 milioni di dollari per «sostenere la ripresa e la crescita aziendale» di Evergrande.

Di fatto, un'operazione tesa a tamponare solo in parte l'emorragia che da almeno un paio di anni sta dissanguando il gruppo di Shenzen. Che resta l'epitome della gigantesca bolla che ha gonfiato a dismisura il settore, il cui peso sul Pil del Dragone è un esorbitante 30%. Uno squilibrio indotto dalle direttive del governo tese a dilatare la crescita interna attraverso il mattone e a mantenere la pace sociale, in seguito alla repressione di Piazza Tienanmen, con la promessa di una continua lievitazione dei valori immobiliari. Ai primi segnali di cedimento del mercato, anziché intervenire con misure drastiche di sostegno, Pechino ha però preferito adottare la linea dura con l'introduzione delle cosiddette «tre linee rosse». Vincoli stringenti che limitavano le passività al 70% delle attività, imponevano debiti non superiori al patrimonio netto e fissavano un rapporto alla pari fra liquidità e prestiti a breve termine. Una triade di paletti che ha accelerato lo scoppio della «big bubble».

Il successivo crollo delle vendite di case e l'aumento dei costi di rifinanziamento ha poi esacerbato le difficoltà degli sviluppatori immobiliari, cioè gli artefici di buona parte di molte di quelle città fantasma che popolano la Cina. A quel punto, la crisi è dilagata fino a travolgere anche Country Garden Holdings, che il giorno prima di Ferragosto ha deciso di bloccare le contrattazioni di 11 bond onshore. Un segnale di grave asfissia finanziaria per un colosso gravato da 190 miliardi di dollari di debiti e da perdite semestrali che potrebbero arrivare fino a 7,6 miliardi.

Ma a preoccupare il Wall Street Journal, che parla di «momento Lehman», ovvero la riproposizione della tempesta finanziaria che portò al default la più piccola delle merchant bank americane, è soprattutto Zhongrong International Trust. La controllata da Zhongzhi Enterprise Group è stata accusata da due società cinesi quotate di aver mancato il rimborso di capitali e interessi sulla scadenza di prodotti d'investimento collocati sul mercato. Un altro default che grava sull'industria dei trust, un pachiderma che gestisce in Cina 2.900 miliardi di dollari, a lungo utilizzati per finanziare il settore immobiliare in modo anche poco trasparente. «Zhongzhi è una scatola nera. Non presenta resoconti periodicamente, e alcuni investitori non sanno in che asset stanno investendo», ha commentato Xiaoxi Zhang, analista di Gavekal Research, parlando con il WSJ.

Analisti e investitori sono preoccupati per le ripercussioni che il momento nero del real estate cinese rischia di avere sulla già debole ripresa del Paese asiatico, peraltro già fiaccato dalla deflazione e dal crollo delle richieste di prestiti da parte di famiglie e imprese. L'ex Impero Celeste soffre inoltre la debolezza dello yuan, ai minimi da 10 mesi contro il dollaro, che si somma a un improvviso aumento dei deflussi valutari, pari a 26 miliardi di dollari in luglio, il ritmo più veloce da settembre 2022.

Cifre ben poco ideali per centrare l'obiettivo governativo di un'espansione del Pil del 5% quest'anno, ma che allungano anche ombre minacciose sulla ripresa globale.

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