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Il calcio ponte geopolitico nel Mediterraneo

Paesi con interessi convergenti e bisogno di dialogare. Il pragmatismo della Meloni

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Il calcio come collante geopolitico, al fine di rendere più fluida la relazione fra due paesi che hanno l'esigenza (e anche l'obbligo geografico) di dialogare, alla luce di interessi convergenti in dossier altamente strategici come l'energia. La candidatura congiunta di Italia e Turchia per organizzare gli Europei 2032 travalica stadi e partite, ma si inserisce di diritto in un filone altamente complesso che risponde al nome di relazioni internazionali. Che il leader da vent'anni alla guida della Turchia sia un personaggio denso di carattere e peso specifico ideologico è un dato oggettivo ormai noto a tutti, alleati e non. Ciò che sta emergendo in questa fase è senza dubbio la capacità del Presidente del Consiglio di farsi pragmatica e tessere relazioni utili all'interesse nazionale italiano. Dunque parafrasando Mario Draghi, Erdogan è «un dittatore con cui bisogna averci a che fare», mentre durante il recente incontro a Vilnius, Erdogan e Meloni hanno discusso del «mantenimento della forte cooperazione tra i due Paesi, dello sviluppo delle relazioni economiche e di questioni regionali». In occasione del vertice Nato il presidente turco, dopo il bilaterale di un'ora con Meloni, ha spiegato che «la Turchia continuerà la sua forte cooperazione con l'Italia con cui è alleata nella Nato», invitando la premier ad Ankara. Su questo fronte i due Paesi hanno preso un impegno preciso in seno all'Alleanza, battezzando un coordinamento per la lotta al terrorismo. Ma il punto più rilevante del rapporto tra Roma e Ankara è quello che abbraccia difesa, industria, energia: portare l'interscambio tra i due paesi a 30 miliardi di euro è il fine dichiarato dal Presidente del Consiglio. Al momento l'Italia è il quarto partner commerciale della Turchia ma, in prospettiva, Roma e Ankara in qualità di potenze regionali, vogliono accrescere questo fronte in quanto condividono interessi comuni nel bacino del Mediterraneo. Balcani, Libano, Libia e Afghanistan rappresentano quattro aree dove un'azione congiunta e coordinata potrebbe portare risultati migliori rispetto a quelli ottenuti nell'ultimo lustro.

La conferenza sui Balcani promossa dall'Italia a Trieste può distendersi in settori attraversati da grandi tensioni, come Serbia e Kosovo, se affiancata da una strategia di base, anche per questa ragione la presenza turca in seno alla KFOR è stata incoraggiata dall'Italia.

La nuova stagione che la Libia si appresta a celebrare, con lo sforzo anche italiano per svolgere elezioni libere e democratiche, è anticamera ad una convivenza su quel territorio tra il maggiore player italiano in loco, l'Eni, e la controparte turca, dopo che il governo Erdogan si è incuneato abilmente in quel territorio aprendosi un varco nella contrapposizione tra Tripoli e Cirenaica. Libano e Afghanistan, dove l'azione della Fratellanza Musulmana e di Hezbollah rappresenta un elemento da gestire e non subire, devono gioco forza rientrare nel cono di interesse dell'Italia, a maggior ragione dopo la gestazione del Piano Mattei, la vera novità geopolitica mediterranea dell'anno che verrà presentato il prossimo ottobre. Il dossier migranti è costante, anche per via dei porti turchi di partenza, come Smirne, è in virtù delle decisioni che la prossima Commissione Europea dovrà assumere sui rifugiati siriani attualmente detenuti su suolo turco, in virtù dell'accordo siglato il 18 marzo del 2016 tra Bruxelles e Ankara. Un altro banco di prova per il pragmatismo internazionale della premier che, dopo G20, Vilnius e vertice alla Casa Bianca, può farsi primus inter pares nel Mare Nostrum.

@FDepalo

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