“Pensa al peggio, pianifica il peggio e… confida nel meglio”. O per dirla diversamente, “se trascuri di pianificare stai pianificando la tua rovina”. Ed è quello che è successo in Italia. La pensa così l’ex generale Pier Paolo Lunelli, autore di protocolli pandemici per diversi Stati Ue, che torna a firmare uno studio in cui denuncia “incuria, negligenza, noncuranza e grave imprevidenza” al ministero della Salute. Un insieme di errori che avrebbe favorito la strage provocata dal coronavirus.
Il documento, di ben 130 pagine, che ilGiornale.it pubblica in anteprima (clicca qui), è corposo e ben dettagliato. Un lavoro con “indizi e prove logiche” che “certificano la quasi totale impreparazione con la quale ci siamo trovati ad affrontare l’emergenza”. Ma è soprattutto un dossier che abbatte il più grande alibi fino ad oggi fornito dal governo per giustificare il caos: il Covid-19 non è stato un evento totalmente imprevedibile, “uno tsunami” come si è soliti dire, di fronte al quale non avremmo potuto far nulla. Perché le pandemie “non è questione di se, ma di quando e come avverranno”. Quindi salvarsi bisogna solo essere pronti. Diceva Baden Powell: non esiste buono o cattivo tempo, ma solo buono o cattivo equipaggiamento. E noi non eravamo equipaggiati.
Il dossier parte da una domanda fondamentale: l’Italia si è attenuta alle prescrizioni del Regolamento Sanitario Internazionale (Rsi) entrato in vigore nel 2007? Domanda che poi si dipana in altri quesiti. Ci era chiesto di “investire per acquisire otto capacità fondamentali per prevenire una pandemia”, lo abbiamo fatto? Abbiamo adeguato la legislazione nazionale? abbiamo finanziato quanto necessario? Abbiamo impostato un coordinamento tra ministeri e la sorveglianza sanitaria? Abbiamo pianificato? Abbiamo realizzato scorte di Dpi, antivirali e reagenti? Ci siamo dotati di un piano per la comunicazione del rischio? I nostri laboratori erano pronti?
Per diversi motivi, a tutte le domande Lunelli risponde con un deciso “no”. “Numerosi Paesi previdenti si sono mossi in questa direzione - si legge - Il nostro invece ha messo in luce molteplici carenze”. Sappiamo che il piano pandemico era inadeguato, fermo al 2006, non aderente alle prescrizioni del Rsi, nonché ad altre linee guida che si sono susseguite negli ultimi 10 anni”: quelle del 2009, 2010, 2013 e 2017. Eppure tutto questo si tratta solo della punta di un iceberg. Sotto il pelo dell'acqua ci sono le mancate risorse materiali e umane, le autovalutazioni troppo ottimiste, le normative arretrate, la scarsa consapevolezza della minaccia pandemica, il mancato sviluppo delle otto “core capacity” richieste dall’Rsi. “In Europa - sentenzia Lunelli - eravamo uno degli anelli deboli della catena difensiva e i risultati in termini di vittime, parlano da soli”.
Di elementi da approfondire ve ne sarebbero a bizzeffe. Uno in particolare merita di essere citato. L’Oms a partire dal 2010 chiede agli Stati di inviare questionari di autovalutazione sul livello di capacità acquisito nella risposta alle pandemie. Quesiti, scrive Lunelli, “ai quali il nostro Paese risulta non aver risposto nel 2012, 2013, 2014, 2015 e 2017”. “La mancata comunicazione per 5 anni su 10 è forse l’indizio principale di un profondo disinteresse sul tema del consolidamento delle otto capacità fondamentali, vitali per affrontare una pandemia”. Non solo. Perché “prove logiche”, secondo l’ex generale, dimostrerebbero “che il nostro Paese, quando ha risposto all’Oms, ha sovrastimato talvolta in maniera esagerata le proprie capacità”. L’Italia si era auto-valutata all’87%, nell’area dell’eccellenza, ma “alla prova dei fatti sappiamo che sono venute alla luce gravissime carenze di carattere strutturale e organizzativo in molti settori, per cui le nostre risposte ai questionari non potevano rappresentare la situazione reale”. Chi mentì? E perché?
Il rapporto certifica poi l’assenza di una “norma applicativa” per chiarire ‘come’ lo Stato” dovesse esercitare il suo potere di profilassi internazionale. Ma abbiamo pagato anche una comunicazione del rischio caotica che, come spiegato Robert Lingard, ha confuso i cittadini sulla reale portata della minaccia. Per non parlare della insufficiente rete di laboratori: l’Italia a marzo aveva attivato una rete di 31 centri di analisi, la Germania ne aveva pronti già 262.
Insomma, dice Lunelli, “non eravamo pronti” a gestire il coronavirus. E non perché si sia rivelata uno “tsunami”, ma perché “nei fatti, abbiamo affrontato la pandemia in ordine sparso cercando di inseguire anziché prevenire il contagio”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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