La paura di un'altra crisi finanziaria globale è tornata alle stelle. La seconda banca svizzera, il Credit Suisse, ha ieri ceduto il 24% del suo valore in Borsa, trascinando nel panico tutti i listini d'Europa e del Mondo, zavorrati dal crollo dei prezzi delle azioni bancarie. E l'Italia è il mercato che è andato peggio. Il -4,6% di Piazza Affari è stata la performance peggiore, mentre lo spread è tornato a ridosso di quota 200 punti, che non si vedeva da tempo. Così è ricomparso lo spettro della crisi del 2008 che poi, nel 2011, ha partorito quella del debito pubblico. Fino a portare il Paese sulla soglia del default e con l'arrivo del governo Monti. E la Bce sull'orlo del fallimento dell'euro, salvato dal whatever it takes dell'allora presidente Mario Draghi.
Inutile girarci intorno: la paura è quella di ripiombare nella morsa dei mercati dalla quale eravamo usciti alla fine del decennio scorso. Ma che non abbiamo potuto archiviare definitivamente a causa prima del Covid e poi della crisi energetica. In seguito ai quali l'Italia si trova oggi con un deficit e un debito che in rapporto al Pil sono del tutto fuori norma rispetto alle norme dell'eurozona. Una situazione permessa dalla sospensione del Patto di Stabilità, ma solo provvisoriamente. Per questo, una nuova crisi finanziaria può portare in territori inesplorati che assomigliano assai ai peggiori scenari del 2011. Per il governo italiano è una mina imprevista e ben poco controllabile: un eventuale crac del Credit Suisse avrebbe effetti a cascata dirompenti, probabilmente simili a quelli scatenati nel 2008 dal fallimento di Lehman Brothers. E in questo quadro l'Italia è un classico vaso di coccio, per due motivi: la Borsa è fatta per lo più da banche e assicurazioni, e per questo crolla più delle altre; mentre i conti pubblici di cui si diceva prima espongono i nostri titoli pubblici alla speculazione.
Il tema è anche quello del rialzo dei tassi d'interesse in atto per combattere l'inflazione, ma che comincia a mostrare effetti collaterali. Lo abbiamo visto con la crisi della Silicon Valley Bank dei giorni scorsi: da lì è arrivato il primo scossone. Che però non è rimasto isolato. Anzi, dalla California il problema banche è arrivato fino a Zurigo, nel cuore dell'Europa. Aprendo ogni tipo di interrogativo sui prossimi sviluppi.
Ma cosa sta succedendo al Credit Suisse? La banca svizzera è in crisi da tempo. Nel 2021 i fallimenti di due fondi speculativi sono costati 6 miliardi di perdite, a cui l'istituto ha fatto fronte in ogni modo, compreso un aumento di capitale da 4 miliardi con il quale la Saudi National Bank, partecipata per il 37% dal fondo sovrano saudita, aveva acquistato il 9,88%. E a causare il crollo di ieri sono stati proprio i sauditi, che hanno escluso qualsiasi sostegno finanziario.
La situazione è a questo punto molto delicata. Lo dimostra il fatto che sia la Fed, sia la Bce hanno ieri chiesto alle banche vigilate di calcolare l'esposizione con il Credit Suisse. Ma nello stesso tempo le autorità svizzere hanno in serata lanciato segnali rassicuranti, affermando che Credit Suisse «soddisfa i più alti requisiti di capitale e liquidità applicabili alle banche importanti a livello di sistema». Un messaggio che annulla il timore di insolvenza. In ogni caso La Banca centrale svizzera ha dichiarato, in una nota, di essere pronta a offrire liquidità a Credit Suisse se necessario.
Il governo italiano mostra per ora fiducia nella tenuta del sistema e ben si guarda dall'attaccare la Bce sull'aumento dei tassi.
La presidente del consiglio Giorgia Meloni, senza fare nomi ha annunciato la «massima attenzione del governo sui mercati finanziari», mentre il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha detto che «le banche italiane sono solide. Le regole del nostro sistema bancario sono diverse da quello americano», in riferimento al fallimento della californiana Svb.
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