Guerra in Ucraina

Dai "Protocolli" a Stalin e Breznev: le "fake" antisemite

Hitler ebreo. Nella giornata di ieri mezzo mondo è rimasto a bocca aperta per l'uscita del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov

Dai "Protocolli" a Stalin e Breznev: le "fake" antisemite

Hitler ebreo. Nella giornata di ieri mezzo mondo è rimasto a bocca aperta per l'uscita del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. Nel tentativo di colpire l'immagine di Zelensky, dopo aver citato le fantomatiche origini ebraiche di Hitler, si è lanciato in un ancor più insultante: «I maggiori antisemiti sono proprio gli ebrei». Sul tema non c'è molto da dire oltre a quello che gli ha risposto il ministro degli esteri di Israele. Però qualcosa si può dire più in generale sull'antisemitismo e la Russia e sulla modalità con cui nel corso degli anni l'antisemitismo è stato usato in Russia. Purtroppo quasi nessun Paese europeo sulla discriminazione ingiustificata contro gli ebrei ha la coscienza immacolata. Ma in questo ambito la Russia l'ha particolarmente sporca. Anche a livello politico. I famosi Protocolli dei savi di Sion a cui si rifecero poi anche i nazisti per fomentare l'odio antiebraico furono utilizzati dall'Ochrana, la polizia segreta zarista, con l'intento di diffondere l'odio verso gli ebrei nell'Impero russo. I Protocolli furono pubblicati a puntate sul quotidiano di San Pietroburgo (Znamja - La Bandiera) tra il 28 agosto e il 7 settembr 1903, a opera di Pavel Kruevan, che 4 mesi prima aveva scatenato il pogrom di Kiinev. Nel 1905 la polizia segreta li rilanciò in grande stile per impedire le riforme politiche liberali sgradite allo Zar. Le bugie presenti nei protocolli, ovvero l'esistenza di un complotto ebraico e capitalista per prendere il potere nel mondo, sono rimaste in circolazione da allora con periodiche rinfrescatine. Una fake news russa a scopo interno che fa danni da più di un secolo. Ma la storia dell'antisemitismo è proseguita quasi senza soluzione di continuità anche sotto l'Urss. Già nel 1907, Stalin scrisse una lettera distinguendo tra una fazione ebraica e una vera fazione russa nel bolscevismo, era già approdato al Nazi(onal)comunismo. Certo, con una certa capacità di mistificazione si preferiva usare il termine antisionismo. Però dopo la cacciata di Trotsky si passò a: «Un ebreo è un trotskista, un trotskista è un ebreo». Al processo farsa contro il «Centro terroristico trotskista-zinovievita», i sospetti, leader bolscevichi, vennero accusati di nascondere le loro origini ebraiche con nomi slavi.

Ma il pregiudizio antiebraico non finì con Stalin era ancora presentissimo all'epoca di Kruscev e di Breznev. Breznev venne accusato di essere filo ebraico, mentre lo stesso regime di Breznev perseguitava gli ebrei russi che mostrassero simpatie israeliane. E si potrebbero citare decine di altri esempi. Insomma quando poi un ministro degli esteri si lascia scappare che il leader del nazismo, con cui l'Urss non ebbe problemi ad allearsi per invadere la Polonia, «è un ebreo che odia gli ebrei» non ci si trova davanti a qualcuno che delira. Ma a qualcuno che usa una modalità politica, certificata nel tempo, per delegittimare l'avversario a colpi di antisemitismo. Un antisemitismo così radicale da voler confondere carnefici e vittime.

E questo non avviene per caso ma per calcolo (che su un pubblico occidentale speriamo sbagliato) e strategia politica.

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