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Le donne, i giornali il perdono e i piccioni. Ottant'anni raccontati dal "direttore" e svelati da sua moglie Enoe

"Il mio compleanno? Non lo festeggio Devo ringraziare la fortuna e un prete che mi ha fatto studiare quando sono rimasto orfano".

Le donne, i giornali il perdono e i piccioni. Ottant'anni raccontati dal "direttore" e svelati da sua moglie Enoe

Quando sposta l'appuntamento per il pranzo dal Baretto a casa sua, interiormente imprechiamo: sappiamo già, dannazione, che lì mangeremo il doppio. Senza nulla togliere al ristorante di via della Spiga che è una mecca del gusto da tutti i punti di vista. Guardando Vittorio Feltri (che oggi compie 80 anni), e intuendo il suo garbato disgusto nei confronti del cibo dalla manciata di ossa con cui riempie gli abiti di sartoria, in pochi immaginerebbero che nella sua sala da pranzo agli ospiti esploda un incontrollabile appetito. Saranno i quadri con i tram di Milano, le cornici con le foto di una vita, le poltrone morbide che ti abbracciano sotto alle finestre d'epoca, il tavolo in grado di accogliere i parenti di più di un nucleo famigliare per Natale, o sarà lei, Enoe Bonfanti (magrissima malgrado la sonorità del nome suggerisca rotondità romagnole), la moglie che a Feltri dura da cinquantacinque anni (hanno festeggiato l'anniversario il 15 giugno). Attorno a quel desco c'è cibo per chiunque arrivi, a qualunque ora arrivi, indipendentemente dal fatto che si sia annunciato o meno. Complici le solerti signore che animano la cucina affacciata su un giardino interno. Eppure lui raggiunge la sazietà dopo tre bocconi e lei non l'abbiamo nemmeno vista cibarsi. Però tocca sforzarsi per accorgersene: nelle tavole che funzionano, i bocconi non fanno rumore perché sono coperti dalle chiacchiere. E attorno alla tavola dei Feltri c'è un fantastico viavai: manco a dirlo, di donne soprattutto. Ma ce n'è solo una che racconta Feltri almeno quanto Feltri. Solo una che completa la suggestione con l'esattezza. Perciò parliamo con lui ma siamo felici che risponda anche lei.

Signora Enoe Bonfanti, c'è stato un momento del suo matrimonio in cui si è detta, «basta, la chiudo qui»?

EB: «Tutte le settimane». (Lui ride, lei sorride...).

E come resiste?

EB: «Prima piantavo il muso per tutto. Poi ho capito che il muso faceva stare molto peggio me e i miei figli (se ti siedi a tavola arrabbiata intossichi l'atmosfera), mentre lui usciva, andava a lavorare tranquillo ed era finita lì. E mi sono detta: ma ne vale la pena?».

E quindi?

EB: «E quindi ho imparato a prendermi cura di me, a coccolarmi. Basta poco. Quando Vittorio, tanti anni fa ha suggerito camere separate, mi sono offesa. Ma poi l'ho consigliata a tutte le mie figlie. Lo spazio per sé è impagabile: un pigiama profumato da indossare, la crema da stender sul viso, un film Piccoli gesti che ti fanno coricare serena».

Una volta che l'ha proprio fatta arrabbiare?

EB: «Tanti anni fa sparì tre giorni e...» (Feltri volge gli occhi al cielo, «Si vabbè...»)

EB: «Ma infatti, si vabbè...».

Come chiede scusa Vittorio Feltri, se chiede scusa?

EB: «Offrendoti un bicchiere di vino! Con il suo modo e la sua ironia. Ha sempre funzionato anche con me che non bevevo».

Però ci sono anche cose di lui a cui non rinuncerebbe mai: siete insieme da 55 anni...

EB: «In realtà è un uomo sincero e a modo suo credo mi voglia molto bene. A questo non potrei mai rinunciare. E poi è generoso. Con tutti, in tanti modi e alla famiglia non ha mai fatto mancare nulla. Ha sempre lavorato moltissimo per questo. Poi è eccessivo, nel bene e nel male. Sa essere perfido a parole quando si arrabbia ma Vittorio è un uomo molto buono. E leale».

Direttore, in tanti anni, non abbiamo mai conosciuto un amico d'infanzia, un «migliore amico», e dire che tutti gli uomini ne hanno uno.

VF: «Preferisco le donne, ma non per questioni sessuali. Gli uomini ti parlano di calcio, che pure a me piace ma non in dosi massicce, di stipendio... Le donne hanno più proprietà lessicale e varietà di argomenti. Infatti sono più brave anche sul lavoro. E poi tra le donne ci sono cresciuto: mia madre vedova, le mie due zie decisive, tre figlie femmine...».

Sì insomma, il verbo «amare» non lo ha appreso solo dai romanzi

VF: «Ho sviluppato una sensibilità particolare per il genere femminile».

Come festeggia questo mega compleanno che le è arrivato, i suoi ottant'anni arditi, sappiamo che l'hanno intervistata tutti, celebrata tutti?

VF:«Ovvio, non festeggio».

EB: «Ma scusa Vittorio, pensa se nessuno si ricordasse del tuo compleanno. Se nessuno si ricordasse di te, in generale. Invece ancora un sacco di persone continuano a chiamarti, messaggiarti, chiederti favori, per fortuna...».

Ma poi solo con tutti i figli e i nipoti e i pronipoti, riempirete un ristorante stasera.

VF: «Ho prenotato per una decina di persone, vedremo».

EB: «È vero, abbiamo cinque figli».

Cinque?

EB: «Gli ultimi due, Mattia e Fiorenza, li abbiamo avuti assieme. Le prime due gemelle, Laura e Saba, Vittorio le ha avute con la prima moglie che è morta di parto. L'ultimo, che è poi anagraficamente il più grande di tutti, non è biologicamente figlio di nessuno dei due. È il figlio di mia sorella che era una ragazza madre e ci ha chiesto di tenerlo con noi a Bergamo quando il bimbo era in terza elementare perché lei, allora, lavorava a Milano per la Sip. Vittorio ha buttato un occhio a quel bimbetto e ha detto subito di sì».

Quindi quanti nipoti e pronipoti avete?

VF: «Considerando quelli di Paolo, sette nipoti e un pronipote».

Come ha chiesto alla Bonfanti di sposarla?

VF: «Chiesto... ne abbiamo parlato».

EB: «Un po' mi ha corteggiata, mi ha anche mandato delle poesie come usava allora. Mi ha detto che conveniva che ci mettessimo insieme. Dopo tre giorni mi incontra a Bergamo Alta e mi dice sai, a me le cose lineari non piacciono, sono uno che ama ribaltare tutto, con me non ti annoierai mai.... Sono tornata a casa distrutta. Poi certo, era vero: non mi sono mai annoiata Ma in compenso, che fatica!».

(E Feltri ride sornione)

Poi però vi siete decisi lo stesso.

EB: «Io ho avuto la sensazione che fosse sua mamma ad insistere perché ci sposassimo, perché c'era la questione delle gemelle... Mia madre era più perplessa. Vittorio ha cinque anni meno di me, ma soprattutto mi avvisava: Avere una matrigna è brutto, ma è anche brutto fare la matrigna. Aveva ragiona, non per le bimbe, ci siamo amate e ci amiamo molto. Ma per la gente, qualunque cosa facessi, ero sotto la lente d'ingrandimento».

Tipo?

EB: «Il giorno che ci siamo trasferiti nella nuova casa io e Vittorio stavamo trasportando un tappeto, e ognuno aveva in braccio una gemella. Una vicina si affaccia e mi chiede come la chiamano le bambine?. E Vittorio: Tro.... Tipico suo». (Stavolta ridono entrambi)

In pieno stile Feltri e a proposito di stile Feltri, perdonate l'escursione nell'attualità: direttore, il presidente Meloni l'ha chiamata dopo le sue frasi sismiche sui gay via Twitter?

VF: «Ma no che la Meloni non mi chiama, cosa deve dirmi?!»

Per tanto si è fatto un vanto del suo rapporto con la macchina per scrivere, del fatto che fosse rimasto l'ultimo ad usarla ma poi si è adeguato bene ai tablet e ai social.

VF: «Beh è inevitabile. E poi Twitter ti obbliga ad essere conciso e quindi efficace, ad esprimerti in poche battute. Questo è senza dubbio positivo».

Nuovi metodi d'informazione. Il giornale che ha amato di più tra tutti quelli cOn cui è stato o che ha fatto?

VF: «Il Corriere della sera che è ancora il primo che guardo ogni mattina. Ma mi sono sentito a casa in tutti i giornali in cui sono stato. Sui giornali ho imparato a leggere ed erano evidentemente nella mia storia».

Ha imparato a leggere sui giornali?

VF: «Sì, la zia Tina mi ha insegnato a leggere sui quotidiani, mia mamma lavorava e io stavo tanto con lei. Quando leggevo la stanza di Montanelli pensavo dev'essere importante questo, ha addirittura una stanza...».

E poi è andato a dirigere il suo Giornale, e a vender più copie di lui...

VF: «Se tornerò anche questa volta, dopo l'acquisizione degli Angelucci, sarà la quarta al il Giornale... E farò l'omelia della domenica e una rubrica: la stanza di Feltri».

Come mai non è andato al funerale di Silvio Berlusconi?

VF: «Non vado ai funerali. Non andrò nemmeno al mio. Ma ciò non toglie nulla all'affetto che provavo nei confronti di Berlusconi che mi ha sempre trattato come un principe, non mi ha mai chiesto nulla e mi ha anche usato la gentilezza di rendermi ricco».

C'è qualcosa che accomuna lei e Berlusconi: siete divisivi e non rancorosi.

VF: «Credo di sì. Non ho mai provato rancore, non so cosa sia perché richiede troppa fatica e io sono pigro».

Non le piacciono le cerimonie in generale, nemmeno quelle liete. Non è andato neppure al matrimonio di Alessandro Sallusti.

VF: «Non sono stato invitato, però gli ho fatto un regalo».

E cosa?

VF: «Un modellino di un motoscafo Riva che so che gli piaceva».

A ottant'anni si è arrabbiati con tanta gente?

VF: «Io con nessuno. Però mi ricordo di tanta gente che mi ha aiutato».

Beh complimenti. È così che si invecchia (se ci concede il termine) oppure non ha senso invecchiare: un po' di magnanimità, un po' di lasciare andare, un po' di relativizzare, e soprattutto spegnere gli asti.

VF: «Concedo, congedo, se ci pensa invecchiare è ancora l'alternativa migliore».

A chi deve dire grazie?

VF: «Ad Angelo Meli, il prete che mi fece studiare quando rimasi orfano di padre. Mi parlava un po' in bergamasco, un po' in latino, per questo conosco perfettamente entrambi. A Mario Bertoli, mio collega de La Notte, al direttore della stessa testata Nino Nutrizio che mi segnalò ad Angelo Rizzoli per il Corriere dell'Informazione e a Walter Tobagi che mi segnalò per il Corriere della Sera, volevo andare in cronaca e mi ha mandato al politico, a me che detesto la politica. Ma si impara tutto... E poi a Piero Ostellino che mi ha dato fiducia, mi ha fatto inviato e mi ha permesso di seguire il caso Tortora e di fare tanti altri servizi che ancora oggi in molti ricordano».

E poi?

VF: «E poi devo ringraziare san Culo che mi ha sempre assistito. E la Bonfanti, ancora una volta, che mi ha spronato a non fermarmi giornalisticamente a Bergamo ma ad andare a Milano».

Di cos'altro ringrazia sua moglie?

VF: «Di essersi occupata dei nostri figli, di tutti allo stesso modo. Di avermi sempre capito, di non avermi mai rotto le palle. Non avrei mai potuto stare con qualcuna così tanto tempo quanto con lei».

Se dovesse fare un titolo su se stesso, che titolo si farebbe?

VF: «La mia vita da gatto».

E dentro cosa ci sarebbe?

VF: «Ci sarei io e ci sarebbero gli animali che definitivamente adoro. Dai gatti, che sono la mia passione e ai quali sento di assomigliare particolarmente, ai cani che mi inteneriscono e mi divertono alla stessa maniera: avevo un border collie che svegliava e portava a scuola i miei figli, poi ho avuto Ciro, che faceva la baby sitter ai gatti, e i miei incredibili, generosissimi cavalli, l'intelligentissima asina, le galline, i galli, perfino i piccioni».

Mah... i piccioni, direttore?

VF: «Ogni tanto vado in un bar di Brera a prendere l'aperitivo. Mi siedo a un tavolino all'esterno e non appena mi accomodo arrivano una ventina di piccioni a pretendere noccioline e patatine. Mi riconoscono. Gli animali, tutti, conservano una dolcezza che le persone hanno perso, non c'è nulla da fare».

Sappiamo che detesta perfino parlare del suo compleanno, forse di questo in particolare. Ma che regalo vorrebbe ricevere per i suoi ottant'anni?

VF: «Tutto quello che voglio, ce l'ho».

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