D'Onofrio, signorsì agli ordini dei boss

Il procuratore degli arbitri sempre sull'attenti quando arrivavano le chiamate dei capi

D'Onofrio, signorsì agli ordini dei boss

«A me mi vedono così e mi fanno andare, hai capito, non mi fermano nemmeno. Io vado in giro e faccio quello che voglio!». Nella sua doppia vita da corriere della droga, il procuratore nazionale degli arbitri Rosario D'Onofrio portava la stessa sicurezza di sè che gli aveva consentito di fare carriera tra i fischietti del calcio italiano. Le intercettazioni contenute nella voluminosa (1.024 pagine) ordinanza ottenuta dal pool antimafia della Procura milanese contro D'Onofrio e altri tredici accusati di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico raccontano un uomo che non se la passa benissimo, costretto a viaggiare come un rappresentante di commercio per incassare provvigioni da mille euro. Ma che fa il suo mestiere con la certezza di farla franca. Sia quando si presenta - lui, sospeso dall'esercito per indignità - con una mimetica a prestito e con i gradi da capitano. Sia quando opera in borghese, ricevendo sotto il nickname di Moistwaw gli ordini dai suoi capi. Convinti di essere protetti da un criptatore di conversazione, D'Onofrio e i capiclan parlavano apertamente di ordini, quantitativi, prezzi. Mairjuana e hashish, ma anche la nuova devastante Amnesia: «erba» addizionata di eroina o metadone, in grado di creare rapidamente dipendenza.

La maggiore soddisfazione di D'Onofrio era circolare liberamente con i suoi carichi di morte nel baule anche nei giorni del lockdown. «I controlli ci saranno sempre per strada, a noi che c... ce ne frega!», si vanta il 30 marzo 2020, mentre il mondo è alle prese con la prima ondata della pandemia. Il giorno dopo chiama la sua donna: «Oh mi ha appena fermato la polizia locale, mi ha visto in divisa, mi ha salutato militarmente e mi ha lasciato andare». È così entusiasta del successo che subito dopo chiama un'amica e poi un amico per vantarsi del successo: «Mi ha visto in divisa e mi ha subito lasciato andare». «Non ti hanno detto niente?» «Eh, sto andando al lavoro!».

Protetto da mimetica e tesserino (che a quanto pare è riuscito a conservare) «Rambo» D'Onofrio batte la provincia di Milano consegnando droga. Sistemi da film: il 9 aprile Francesco Cestana alias Typicalmask gli ordina «via Matteotti, trova un suv grigio scuro Audi q5, bisogna aprire baule, lasciare 5 di erba e prendere soldi». «Ok», risponde pronto D'Onofrio. «Poi un'altra da 5 kili a Bresso, ora ti mando la via», aggiunge il boss. E il procuratore dell'Aia esegue.

Non sembra che si arricchisca. «Con cinque chili di fumo ti faccio venire fuori mille euro di guadagno», gli promette Cestana. Nelle intercettazioni i capi dell'organizzazione indicano chiaramente tra la merce affidata a D'Onofrio anche l'amnesia, la marijuana taglia con la droga pesante. «Bro, hai visto il prezzo dell'amnesia, così vedi che non t'inganno», si scrivono due dei capi. Il 31 marzo Typicalmask scrive a D'Onofrio: «Però non dare amnesia, quella di oggi era amnesia».

Sul telefono del solerte D'Onofrio la Guardia di finanza scova anche le foto dei carichi di droga e dei mucchi di banconote versate in contropartita, che il procuratore manda ai suoi superiori a riscontro del buon esito dell'operazione.

Che un uomo di sport possa trasformarsi nel rappresentante di commercio dei trafficanti di morte certo fa uno strano effetto. Ma ancora più effetto fa, leggendo le carte, che della doppia vita di D'Onofrio nessuno abbia colto segnali.

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