Qatargate

E l'ex Pci manda in soffitta la questione morale

Pure D'Alema archivia, in nome degli affari, la lezione di Berlinguer

E l'ex Pci manda in soffitta la questione morale

Vi immaginate Antonio Gramsci o Palmiro Togliatti che lasciano la politica per consacrarsi alla consulenza di società (capitalistiche) internazionali? Quella del consulente è invece l'attività che Massimo D'Alema, comunista non pentito, si vanta di aver intrapreso. Al giornalista che gli chiede se non convenga con lui sulla dubbia compatibilità tra la sua originaria passione politica e l'odierna attività di consulente di governi stranieri e di multinazionali risponde che non va confusa l'attività di «consulente» con quella dell'«affarista». È improponibile ogni accostamento tra le sue collaborazioni con società internazionali con i traffici dell'ex compagno di partito Antonio Panzieri, nella cui abitazione di Bruxelles sono stati trovati sacchi sospetti di banconote.

È inoppugnabile - ci mancherebbe - la distinzione tra le due attività sul piano della legalità e pure su quello della moralità. La distinzione regge meno però (ma forse ci sbagliamo) sul piano dell'opportunità. Non è comunque su questo punto che ci sembra essenziale puntare l'attenzione, ma piuttosto su quanto questa mutazione di destini professionali sia rivelatrice di un'altra mutazione in atto nella sinistra italiana e europea. Vorrà pur dire qualcosa il fatto che il mestiere di manager e di procacciatore d'affari stia diventando la vocazione principe di molte figure di ex leader della sinistra - da Tony Blair a Gerhard Schroeder fino a Massimo D'Alema: tutti ex primi ministri che a fine carriera abbracciano l'attività di business man, pronti a concedere la loro consulenza anche a uomini di stato che non vantano una coscienza democratica propriamente immacolata.

Contrapponendo l'affarismo alla consulenza, come fa il già lider maximo della sinistra italiana, ha voluto far intendere che è l'onestà ciò che fa la differenza. Con ciò, salva inequivocabilmente la sua personale onorabilità. Non coglie però il punto politico chiave della questione che sta alla base dell'impasse in cui s'è incagliata la sinistra ex comunista dopo l'abbandono dell'originaria fede anticapitalista. Politici e intellettuali di sinistra cercano di ridurre lo scandalo delle mazzette all'europarlamento solo a un fatto (indubitabile) di disonestà personale indicando la soluzione al richiamo della lezione di Enrico Berlinguer sulla «questione morale» quando l'allora segretario del Pci denunciava la degenerazione dei partiti ridotti a «macchine di potere» che «hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni».

La sua era certo una meritoria denuncia del malcostume politico ormai imperante. Era però anche un atto d'accusa rivolto all'intero sistema dei partiti su cui si era retta la vita pubblica nazionale dalla caduta del fascismo in poi contro cui veniva contrapposto il popolo tradito.

Non s'è mai prestata adeguata attenzione al fatto che con l'elevazione da parte del Pci della «questione morale» a stella polare della sua futura azione politica il Pci consumava il cambio di due suoi storici paradigmi culturali.

Il primo. Berlinguer superava l'idea del primato della politica che lo aveva permeato il partito per tutto il lungo dopoguerra conferendo al confronto politico un carattere «gladiatorio sui valori» e alla politica una connotazione «alta». Accantonava l'idea che sia la politica a determinare i grandi movimenti della storia, che «la persona venga giudicata in base all'ideologia cui ispira le sue azioni, non per la moralità o immoralità di quelle».

Il secondo paradigma con cui il Pci rompeva era con la precedente valorizzazione del partito a architrave di sostegno della democrazia. Ora individuava la lotta alla partitocrazia quale essenza del suo conclamato nuovismo. Portava acqua con ciò al mulino della tesi, allora popolare, di una società civile sana contrapposta a una società politica malata, e con ciò disarmandosi nei confronti dell'ordine di idee e di comportamenti propri della società capitalistica di cui «la consulenza» finisce per essere la fisiologia e «l'affarismo» la patologia.

Per queste ragioni, la perdita degli anticorpi dall'infezione affaristica che oggi la sinistra lamenta non può limitarsi ad attribuirla al venir meno della tensione morale che contraddistingue ormai la vita di tutti i partiti.

Una responsabilità a monte va ricercata nell'aver sostituito di fatto la questione morale alla questione sociale come orizzonte strategico della sinistra.

Commenti