
La manifestazione di oggi a Roma è un esercizio di perversione, una pericolosa china che porta in sé una ondata di violenza antisemita come sempre basata su menzogne che criminalizzano gli ebrei, il solito sistema inaugurato nei secoli: gli organizzatori e gli sventolatori di bandiere terroriste ne porteranno l'onta e la responsabilità della trasformazione in violenza. Felici quasi tutti i media, sulla carta, dagli schermi, sui social, aumenteranno le fanfare di un'ossessiva e conveniente legittimazione del niente cosmico, delle bugie siderali, dell'ignoranza e dall'opportunismo politico da cui la manifestazione nasce. Oggi ripeteranno felici in coro con gli oratori incapaci ormai di distinguere fra vero e falso, bene e male, i termini «genocidio» e «pulizia etnica», «occupazione», «razzismo», etc. Sono quelli che hanno detto che in 24 ore sarebbero morti 14mila bambini palestinesi, e poi non hanno smentito mai la cretinata; che hanno ripetuto senza vergogna che i soldati mirano alla testa dei bambini; che all'ospedale Al Ahli erano state uccise 500 persone; che i soldati hanno violentato e ucciso le donne palestinesi all'ospedale al Shifa; che sparano su chi va a prendere il cibo Milioni sono le menzogne, come quella che accusa Israele di affamare a scopo bellico: come si può pensarlo, dato che fino a marzo venivano introdotti 600 camion al giorno? Ma la fame è stata causata dal furto e utilizzo degli aiuti umanitari da parte di Hamas, e quindi il sistema ora è cambiato Orribile l'indifferenza sulle sofferenze dei rapiti, incredibile come i ragazzi e i padri di famiglia, gli eroi uccisi in guerra dalla parte d'Israele (di cui quattro ieri), siano considerati vittime di nessun conto, ignorati, mai nominati dalla stampa italiana.
Fra i dimostranti, oggi, chi vorrà essere generoso dirà che non vuole la distruzione di Israele, ma condannerà a morte la politica di Netanyahu, di cui niente sa se non che è «di destra» e anche che è «vendicativo» e che deve accettare una tregua definitiva. Ma non gli importa che Israele insista per evitare semplicemente il prossimo 7 ottobre e altri assalti definitivi. Ogni giorno si insiste che «tanti ebrei criticano Netanyahu». E perché, non è sempre così nelle democrazie? Menomale. Peccato se poi quegli ebrei diventano complici del nemico. La manifestazione di oggi è parte della strana velenosa fioritura di un nuovo culto della morte nella società occidentale in crisi: vi si moltiplicano i perfetti ignoranti, le menti woke, le pretese islamiste. E i profittatori politici. Ma ci sono tanti che ricordano, le comunità agricole e la festa di giovani maciullati il 7 di ottobre, si sottraggono al rovesciamento di bene e male che ha buttato Israele dalla parte dei cattivi e ha adottato come eroi i terroristi che odiano la nostra civiltà, quelli che dicono noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita, uccisori di ebrei cristiani omosessuali e donne, macellai di bambini e famiglie. Molti sanno che in questa manifestazione si ripetono bugie, dal fatto che Israele sia un paese coloniale a che abbia sparato a chi andava a prendere da mangiare ai camion. La gente che rifiuta il culto della morte sa che cosa è Israele, sa che dalla scuola all'esercito si insegna la pace; vuole che sopravviva, combatta, batta il mostro e recuperi gli ostaggi.
Un mare di odio armato con miliardi di fake news a pagamento dalla Fratellanza Musulmana, dell'Iran, del Qatar impone l'idea che sia in corso una strage senza precedenti, ma gli studi condotti sui dati forniti dai palestinesi ci dicono che il bilancio dei morti militari e civili è di uno a uno, il dato più positivo mai visto in una guerra; la grande maggioranza è formata da maschi dai 15 ai 70 anni, quindi combattenti, e non da donne e bambini; sanno che le gallerie, in cui mai si è permesso alla gente di rifugiarsi sboccano quasi sempre in ospedali, camere per bambini, moschee trasformati in retrovie terroriste.
La gente è per Hamas uno strumento, l'ha detto più volte. La piazza di oggi è drogata di bugie, ma paradossalmente Israele è là per difendere anche il suo diritto a esprimersi. A Gaza, chi prova a dire una parola di protesta, viene fatto a pezzi.