La tragedia del Mottarone

Eitan, arrestato il nonno e la moglie finisce indagata. Lo zio: "Nascosto in un buco"

Interrogato dall'"unità speciale 433". E poi fermato. Non potrà muoversi da casa fino a venerdì. Arresti domiciliari, per ora. Poi si vedrà

Eitan, arrestato il nonno e la moglie finisce indagata. Lo zio: "Nascosto in un buco"

Interrogato dall'«unità speciale 433». E poi fermato. Non potrà muoversi da casa fino a venerdì. Arresti domiciliari, per ora. Poi si vedrà.

Il colpo di scena, sul caso Eitan, arriva da Tel Aviv. Lui, Shmuel Peleg, il «braccio», da ieri è agli arresti domiciliari in Israele. Lei, Etty Peleg, la «mente», è indagata ma ancora a piede a libero. Il blitz, organizzatissimo, che ha portato alla perfetta «riuscita» del rapimento di Eitan, 6 anni, ha due protagonisti: del ruolo avuto da «nonno Shmuel» già si sapeva. Lui, davanti alla polizia israeliana, si è difeso con forza: «Eitan è arrivato qui in modo legale e dopo consultazioni con esperti di diritto».

La funzione di «nonna Etty», invece, rimane ancora sullo sfondo, con lei che sarebbe arrivata in Italia nei giorni precedenti il sequestro, per poi tornare (almeno questa è la sua versione ndr) in Israele prima che Shmuel «trasferisse» il nipotino dalla frazione Rotta di Travacò (Pavia) a Tel Aviv. Un «alibi» che però non ha convinto i giudici, che l'hanno infatti indagata per lo stesso reato contestato al marito: sequestro di persona, aggravato dal fatto che la vittima è un minorenne. I due non sono pentiti: «È assurdo parlare di rapimento, abbiamo solo riportato a casa Eitan, salvandolo da un contesto che stava minando la sua salute fisica e mentale».

Ma al «ramo materno» della famiglia Peleg si oppone la «componente paterna» della famiglia Biran, che ieri ha ribattuto con toni di inusitata virulenza: «La famiglia Peleg trattiene Eitan come i soldati dell'esercito israeliano sono tenuti prigionieri nelle carceri di Hamas - ha dichiarato Or Nirko (marito di Aya Biran, la zia tutrice legale del bambino conteso) - La famiglia Peleg si rifiuta di dire dove il bambino si trova. Lo nascondono in una specie di buco». Fatto sta che quel bambino - scampato miracolosamente alla morte nella strage del Mottarone dove ha perso in un istante gli affetti più cari (madre, padre, fratellino e bisnonni) - non riesce ora a salvarsi dall'assurda faida che i pochi parenti rimasti gli stanno costruendo attorno; entrambi i «nuclei antagonisti» giurano di «volere solo il bene di Eitan», senza capire che - in concreto - gli stanno facendo del male. Aggiungendo al trauma della funivia, lo choc della contesa per l'affidamento. Una diatriba in cui il diverso modo di intendere la medesima fede ebraica sta giocando un ruolo importante, unitamente a chissà quali altre inconfessabili ragioni. Un capitolo assai spinoso, ad esempio, è quello che riguarda l'ingente patrimonio destinato a Eitan e, ovviamente, congelato finché il bambino non raggiungerà la maggiore età. Quando cioè potrà entrare in possesso dei soldi frutto di ben tre risorse finanziarie: il risarcimento (ancora da definire ma che gli avvocati definiscono «altissimo») per i danni patiti nell'incidente del Mottarone, l'eredità dei genitori e dei bisnonni (morti nel crollo della funivia) e le donazioni giunte all'indomani della sciagura che commosse il mondo. Chi gestirà, nel frattempo, queste finanze? Una nuova udienza per l'affidamento è stata fissata per la metà del prossimo mese: sarà una tappa importante. «Nell'ambito di tale procedimento si dovrebbe chiedere a Eitan dove vorrebbe vivere. Cosa che andrebbe fatta attraverso l'ascolto e la verifica delle reali condizioni del minore, con una consulenza tecnica d'ufficio e quindi in contraddittorio tra le parti: modalità che, invece, è stata rigettata», sostengono i legali della famiglia materna del bambino.

Intanto, sul fronte delle indagini, continua la caccia ad altri possibili complici (compreso un fantomatico «uomo coi baffi», ipotizzato ieri da Repubblica) che abbiano fiancheggiato i «nonni Peleg». Ogni tipo di controllo durante le varie fasi del rapimento (dal viaggio in auto in Svizzera al decollo col volo privato da Lugano) è stato aggirato con troppa facilità. Come se «l'ex militare Shmuel» e - presunto - «ex collaboratore del Mossad», potesse contare su misteriosi fiancheggiatori. E qui torna in ballo la suggestione dei «servizi segreti».

Solo una «suggestione»?

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