Un terrorista su sei è clandestino. Arrivato a bordo dei gommoni e accolto nei centri per migranti. Oppure è un regolare (falsamente) integrato: con moglie, figli italiani o francesi, lavoro e perfino contributi versati. O ancora, è da poco uscito dal carcere. È un quadro inquietante quello che emerge dal rapporto 2023 sul terrorismo e il radicalismo in Europa.
«Siamo esposti da anni alla contaminazione jihadista» rileva lo studio commissionato dal Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri e pubblicato dal Centro Militare di Studi Strategici del Ministero della Difesa. E anche se non è possibile stabilire un nesso diretto tra flussi migratori e attentati, ci sono parecchi legami tra migranti che aderiscono alla jihad e che emigrano per colpire, come conferma l'attacco terroristico di Nizza del 29 ottobre 2020, portato a termine da un immigrato irregolare partito dalla Tunisia e sbarcato in Italia alcune settimane prima.
L'Osservatorio sul radicalismo e contrasto al terrorismo traccia una sorta di identikit dei soggetti che, dal 2001 ad oggi, hanno seminato morte e terrore in Occidente con attentati e minacce.
Dei 138 terroristi presi a campione, la metà sono migranti regolari, il 26% sono immigrati di seconda o terza generazione. E il 16% sono immigrati irregolari, arrivati per lo più da Tunisia e Marocco. La cosa che lascia esterrefatti è che quest'ultimo dato è in aumento. «Gli irregolari sono saliti al 32% dei responsabili nel 2022 - spiegano i relatori - È anche significativo il numero di convertiti europei all'Islam: il 6% degli attaccanti. Complessivamente, il 73% dei terroristi sono residenti regolari, mentre il rapporto tra immigrati irregolari e terroristi è di uno a 6. Inoltre, nel 4% degli attacchi sono stati impiegati bambini minori tra gli attaccanti».
In Francia, dove il rischio è più palpabile rispetto all'Italia, il numero di immigrati irregolari coinvolti in attacchi terroristici sta aumentando. Fino al 2017, nessun attacco aveva visto la partecipazione di irregolari, nel 2018, il 15% dei terroristi erano immigrati irregolari, nel 2020, hanno raggiunto il 33% (18% nel 2022). «C'è quindi un rischio statistico - rileva il rapporto - poiché più immigrati irregolari significano maggiori possibilità che qualche terrorista possa nascondersi tra di loro o unirsi al terrorismo jihadista in un secondo momento».
Un conto è l'analisi a posteriori su chi sono i terroristi. Ma ci sono elementi che le forze dell'ordine e le istituzioni avevano in mano già prima che venissero compiuti gli attentati: il 37% dei terroristi era già noto ai servizi di intelligence europei, l'11% di quelli che hanno colpito nel 2022 ha un passato in carcere. E in cella evidentemente ha aspettato, pianificato, radicalizzato. Tanto da avere la forza di pazientare, uscire e colpire.
Il ruolo giocato dai recidivi già condannati per terrorismo - non è trascurabile: erano il 3% nel 2018, il 27% nel 2020. «Questa evidenza indica un potenziale aumento degli atti terroristici nei prossimi anni, in coincidenza con il rilascio della maggior parte dei terroristi attualmente detenuti» spiega il rapporto.
«Ci sono due problematiche da affrontare - aggiunge Luca Cinciripini, ricercatore dell'Istituto Affari Internazionali -
Una è il recupero dei radicalizzati, processo molto lungo e difficile, per una reale integrazione. E poi è necessario che in Europa ci sia un coordinamento sia sul monitoraggio del rischio terrorismo sia sui provvedimenti».
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