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Fitch avverte l'Italia: "Troppi ritardi sulla crisi del gas. Recessione in vista"

La società di rating vede il Pil a -0,7% nel 2023 peggio che nell'Eurozona. E anche Confcommercio lancia l'allarme chiusure

Fitch avverte l'Italia: "Troppi ritardi sulla crisi del gas. Recessione in vista"

Non ne uscirà illeso nemmeno uno, dei 19 Stati dell'eurozona accerchiati dall'inflazione, dallo choc energetico e dallo sventagliare di tassi della Bce. Come un piazzista petulante, la recessione sta cominciando a bussare alle porte di tutti. Nel 2023 toccherà aprirle la porta. Resta solo da capire se tracimerà senza trovare ostacoli, o se si accontenterà di imporre una blanda contrazione del Pil. Fitch, che nell'aggiornamento del Global Economic Outlook stima una crescita negativa per l'eurozona dello 0,1%, prevede per l'Italia un decremento dello 0,7% il prossimo anno, cui farà seguito nel '24 un rimbalzo del 2,6%. Danni limitati, insomma, visto che anche la Confcommercio parla di una «recessione mite». Resta però da vedere se andrà così.

Uscito di slancio (+6,6% nel 2021) dai picchi negativi provocati dalla pandemia che avevano lacerato tessuto produttivo e consumi, il nostro Paese non può che pagare dazio all'impazzimento dei prezzi del gas, come sottolinea subito l'agenzia di rating. La stretta dipendenza dal metano russo (40% dell'import nel 2021), su cui si poggia la metà della produzione di energia elettrica rispetto al 20% del resto dell'Unione europea, è un tallone d'Achille ormai noto anche ai sassi. Destinato a rimanere tale anche in caso di ripristino dell'80% dei flussi di gas del Cremlino, ipotesi al momento altamente improbabile, che non eviterebbe comunque una diminuzione totale della fornitura di oro blu «del 5-10%, con un effetto diretto sul settore produttivo«. Fitch fa poi due conti: se nel 2013 la media del prezzo del gas fosse di 55 dollari/mcf (1000 piedi cubici), «la spesa dell'economia nel suo complesso per l'acquisto di gas potrebbe salire oltre il 5% del Pil nel 2023, quindi fino a 2 punti percentuali in più rispetto alla Germania». Di fatto ci sarebbero quindi «meno risorse da spendere per altri beni e servizi». Ergo, se alcune produzioni non risultassero vantaggiose, la loro chiusura sarebbe inevitabile. Con l'altrettanto inevitabile corollario di licenziamenti che contribuirebbe a deprimere il ciclo economico.

Diversamente dalla Germania, Fitch imputa a Roma una certa lentezza nel ridurre i consumi, seppur a fronte di rincari di metano ed elettricità che in luglio sono stati del 55% su base annua. Oltre alla scarsa reattività, si potrebbe imputare al governo anche quelle raccomandazioni che dovrebbero incoraggiare sobrietà e accortezza nei consumi (tipo: non far partire la lavastoviglie con una sola tazzina a bordo; docce più brevi e meno calde; smorzare la fiamma del fornello non appena l'acqua bolle), ma che si rivelano banali poiché legate al buon senso di ciascuno di noi. Servirebbe ben altro. In ogni caso, Berlino non sta meglio di noi: il governo Scholz ha appena messo sul tavolo 65 miliardi di euro per contrastare l'emergenza, eppure le imprese paventano già danni per 150 miliardi.

Le risposte tardive e insufficienti sembrano del resto il tratto comune all'interno di un'Europa che ancora stenta a riconoscere come questa crisi sia probabilmente peggiore di quella provocata dal Covid-19. Questo errore di sottovalutazione rischia di assomigliare sinistramente a quello commesso nel 2008 con la tragedia dei mutui subprime, per mesi derubricata a fenomeno governabile con i normali strumenti di politica monetaria. Se Bruxelles avesse agito per tempo, magari con il varo di un Recovery Fund energetico, i prezzi del gas non avrebbero preso l'ascensore, l'inflazione non avrebbe raggiunto i picchi attuali e la Bce non si sarebbe trovata nella condizione di intervenire bruscamente sui tassi con manovre di stampo recessivo. Non a caso il capo di Confcommercio, Carlo Sangalli, invoca, «in raccordo con l'Europa, interventi strutturali per superare l'emergenza energetica, contenere l'inflazione e, dunque, evitare il pericolo recessione». Anche a causa di un forte rallentamento dei consumi nella seconda parte dell'anno, i commercianti temono il peggio nei prossimi 10 mesi: 120mila saracinesche che si abbassano.

Per non risollevarsi mai più.

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