Politica estera

Il flop del Regno Unito: un anno di recessione. Tra gli inglesi cresce la delusione per la Brexit

Economia in calo dello -0,6%. È il Paese che fa peggio, persino della Russia

Il flop del Regno Unito: un anno di recessione. Tra gli inglesi cresce la delusione per la Brexit

Dopo l'ora della Brexit è forse scattata l'ora della Bregret, cioè del rimpianto di essere usciti dall'Unione europea (dall'inglese regret)? Il primo ministro britannico Rishi Sunak ha definito ancora ieri il divorzio di Londra da Bruxelles «un'enorme opportunità» e il Partito laburista, all'opposizione ma avanti nei sondaggi, non discute nemmeno di un ritorno nel circolo europeo. Eppure, a tre anni esatti dall'addio del 31 gennaio 2020, mentre oltre mezzo milione di lavoratori inglesi sciopera oggi per chiedere aumenti di salario, le previsioni del Fondo Monetario internazionale sull'economia britannica tracciano uno scenario fosco per il Regno Unito, unico Paese del G7 che vedrà la sua economica contrarsi quest'anno e ridursi dello 0,6%. Sarà recessione, dice il Fmi, con una stima peggiore del -0,3% previsto a ottobre. Numeri che fanno del Regno Unito l'unico fra i Paesi industrializzati a retrocedere nel 2023 e a fare peggio anche dei Paesi emergenti, compresa la Russia, pesantemente colpita dalle sanzioni.

Il Fmi ha attribuito il declassamento alle politiche di spesa pubblica più restrittive adottate dal Regno Unito, ai tassi di interesse più elevati, al costo dell'energia, che grava sui bilanci delle famiglie e infine alla Brexit. Ecco perché rischiano di aumentare ancora i delusi della Brexit, anche se sul piano politico il tema del rientro nell'Ue non è in discussione. Secondo John Curtice, uno dei più noti scienziati politici inglesi, docente di Politica alla Strathclyde University, il 57% degli inglesi - in base a un media dei sondaggi - voterebbe oggi per tornare nell'Unione europea. Secondo una rilevazione della rivista UnHerd, i britannici che considerano la Brexit un errore sono avanti in 647 collegi elettorali su 650. Colpa della crisi economica e della Sanità, ma soprattutto della perdita di potere d'acquisto degli inglesi. Il numero di società fallite in Inghilterra e Galles lo scorso anno è salito del 30%, al livello più alto degli ultimi 13 anni e l'inflazione dei generi alimentari è balzata al 16,7% questo mese.

La situazione dovrebbe migliorare nel 2024, con il Fmi che stima una crescita dello 0,9%, ma un'analisi governativa sostiene che la Gran Bretagna perderà il 4% di Pil entro il 2026 a causa dell'addio alla Ue. E il clima è pesante come non lo si vedeva da anni nel Paese. Oggi incrociano le braccia centinaia di migliaia di lavoratori, dai dipendenti pubblici ai macchinisti, dai conducenti di treno agli assistenti universitari ai professori (4,5 milioni di studenti non faranno lezione), in una protesta per l'aumento degli stipendi che non si vedeva da un decennio.

Non avrà vita facile il premier Sunak, che sfida le proteste e promette: «Ce la faremo». Intanto a infierire contro la Brexit arriva pure Guy Hands, noto investitore e finanziere della City: «È stata un completo disastro, un mucchio di totali bugie». Ma è anche per questo che nessuno a Westminster intende imbarcarsi in una campagna lacrime e sangue per un nuovo referendum. E i Tory si affidano al duro della Brexit, Jacob Rees-Mogg, per derubricare le stime: «Quando è stata l'ultima previsione corretta del Fmi?».

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