
Roger Abravanel è un ebreo italiano con un curriculum d'eccezione e una profonda conoscenza della geopolitica. Nato in Libia nel '46, da famiglia ebraica, fu costretto a fuggire a causa dei pogrom e si rifugiò nel nostro Paese quando aveva 16 anni. Premiato due volte come «più giovane ingegnere d'Italia», è da sempre un'eccellenza nazionale: oggi «Director Emeritus» di McKinsey, colosso della consulenza strategica dove ha lavorato per 35 anni in ogni angolo del mondo, aprendo nel 2000 l'ufficio di Tel Aviv, e negli ultimi 18 anni membro dei consigli di amministrazione di prestigiose società quotate in Borsa.
Abravanel, oggi è il giorno della grande manifestazione pro Gaza a Roma. Che pensa di questa spinta della piazza?
«Che sono utili idioti, utili ignoranti. Non fanno l'interesse dei palestinesi, affamati per anni da Hamas, e usati come scudi umani per nascondere armi e tunnel sotto scuole e ospedali. E questi utili idioti mettono in difficoltà anche noi ebrei italiani».
Eppure è sempre più diffusa l'idea che Israele stia compiendo un «genocidio» e una «pulizia etnica» a Gaza.
«Genocidio è il tentativo di distruggere ed eliminare un popolo. Ma i dati parlano. Nel '48, quando è nato Israele, in quell'area c'era 1.1 milione di arabi. Oggi sono 7 milioni: 1.7 milioni in Israele, 3.2 in Cisgiordania e 2.2 a Gaza. Per contro, gli ebrei che allora erano anche loro 1 milione nei Paesi arabi come Egitto, Libia, Irak, Siria, sa quanti sono adesso? Ne sono rimasti in tutto poco più di 3-4mila oggi. Dov'è avvenuta la pulizia etnica?».
Le scene dei palestinesi di Gaza alla fame, però, stanno indignando il mondo. Israele non dovrebbe fare di più?
«Nessuno dice come stanno le cose. Fino al blocco degli aiuti imposto da Israele, e ora revocato, gli aiuti arrivavano in quantità notevole, ma erano distribuiti dall'Onu, che notoriamente aveva dei terroristi tra i suoi funzionari ed era succube di Hamas, che controllando il cibo teneva il potere. Chi non dissentiva prendeva il cibo, gli altri no. Con il nuovo meccanismo di distribuzione affidato a un'organizzazione esterna, questo legame si è rotto. Non a caso Hamas fa di tutto per sabotarlo».
Le ricostruzioni sulle responsabilità delle stragi di affamati a Gaza sono contrastanti. Come si può accettare che i palestinesi muoiano sotto il fuoco per un sacco di farina?
«Si spiegano con il tentativo di Hamas di lottare per la sua sopravvivenza. Per i terroristi, il nuovo meccanismo di distribuzione del cibo è una minaccia. Per questo sparano sui civili e sono loro a farlo, come non hanno avuto problemi a nascondersi sotto ospedali e scuole, fregandosene delle vittime palestinesi. Israele ha tutto l'interesse che il sistema umanitario funzioni per ridurre il potere di Hamas e ridurre la pressione su di sé».
Anche in Israele però cresce la contestazione contro il governo Netanyahu. Come se lo spiega?
«Guardi, neanche a me piace Netanyahu, ma non perché è un massacratore di bambini. Non amo i fanatici della destra religiosa che siedono nel suo governo. Ma non amo nemmeno gli utili idioti che fanno il gioco di Hamas, pensando che sia come Che Guevara, mentre è il nuovo Isis, espressione dell'islam sunnita che, da decenni, ha come progetto pubblico l'islamizzazione dell'Europa. Se lo ricordino i pro Pal. Hamas vuole un altro 7 ottobre e gli islamisti preparano tanti altri Bataclan».
Come si può fermare questa scia di odio?
«Uso le parole della grande leader Golda Meir. Finirà quando i terroristi ameranno i loro figli più di quanto odiano gli ebrei».