Cronache

I carabinieri "arrestano" gli alimenti taroccati. Se a tavola troviamo cibo sano il merito è loro

Il generale Melis, capo del reparto: "Le aziende italiane sono un'eccellenza"

I carabinieri "arrestano" gli alimenti taroccati. Se a tavola troviamo cibo sano il merito è loro

La mortadella di Prato igp, la lucanica di Picerno, il porcino di Borgotaro, i fagioli di Sarconi, il vino Conselvano igp, il fico d'India di San Cono. In Italia abbiamo più di 870 prodotti Dop (Denominazione d'origine protetta) Igp (Indicazione geografica protetta) e Stg (specialità tradizionale garantita), ovvero eccellenze assolute di cui ben 526 sono vini. Può apparire quindi seduttivo e anche molto molto interessante, ma non sarebbe di certo esaustivo e realistico, relegare al settore del controllo del Dop o del Bio l'attività del Comando tutela agroalimentare dell'Arma dei carabinieri. Che, nato nel 1982, dal 2017, non solo è legato a filo doppio a gran parte dell'attività del ministero delle Politiche agricole, ma ha assorbito anche parte delle funzioni del corpo forestale dello Stato (e quindi anche le sue specifiche competenze umane e professionali) e si muove perlopiù sui parametri stabiliti dalla «general food law», su cui si basa la normativa europea per regolamentare le frodi agroalimentari e i successivi comportamenti da adottare.

In occasione della Festa dell'Arma dei Carabinieri - 208° Anniversario - ne parliamo con il generale Daniele Melis, 52 anni, che comanda questo specifico reparto a Roma dagli inizi di maggio.

«Voglio precisare subito che le aziende italiane sono da considerarsi sane, soprattutto nel mondo dell'eccellenza. E che i consorzi di tutela sono in prima linea. Noi siamo visti più come collaboratori che come controllori proprio perché in questo mondo ci muoviamo all'unisono con altre realtà - spiega il generale Melis -, ovvero in primis con l'Arma dei carabinieri e le sue ramificazioni specialistiche e l'Icqrf (Ispettorato centrale repressione frodi) proprio per garantire che non ci siano fenomeni di contraffazione esagerata. Noi ci rivolgiamo soprattutto a quella pletora di personaggi non sempre italiani, anzi soprattutto stranieri, che sfruttano il brand Made in Italy per commercializzare prodotti che di italiano invece non hanno nulla. In questo senso va sottolineato che se prodotti che fanno male alla salute ne mettono in gioco necessariamente anche la qualità, non è sempre vero il contrario: molto spesso la scarsa qualità li rende comunque commestibili e non nocivi per il nostro benessere fisico. Tant'è che una volta sequestrati ne beneficiano in seconda battuta le onlus perché commestibili».

Il cosidetto «Italian sounding food», il fenomeno che spopola in tutto il mondo con l'imitazione delle nostre eccellenze enogastronomiche, vede il Comando tutela agroalimentare dell'Arma dei carabinieri in prima linea nelle inchieste con l'Interpol e l'Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode) e con altre strutture in ambito europeo.

«L'italiano è un consumatore estremamente preparato ed esigente, attento (e la filiera lo sa!), ma sugli scaffali di altri Paesi si può trovare il prodotto imitato, frutto di una grossolana falsificazione solo per evocare il nome dell'Italia e indurre il consumatore locale ad acquistarlo».

In Italia, infatti, più che a frodi alimentari siamo soggetti a frodi finanziarie, complice anche una certa facilità ad ottenere sovvenzioni a finanziamenti europei senza averne titolo o falsificando le documentazioni. Senza tralasciare la criminalità organizzata che sui finanziamenti europei ha da sempre messo gli occhi e che sfrutta il mondo agroalimentare. Nel biennio Covid, 2020-2021, su 13 milioni di euro accertati percepiti dalle aziende italiane legate all'agroalimentare, 9 erano di natura illecita: una percentuale altissima».

«Nello stesso periodo, quello pandemico - conclude Melis -, il Comando tutela agroalimentare dell'Arma dei carabinieri ha concluso un delle sue operazioni più importanti, ovvero il sequestro di 5mila tonnellate di conserve di pomodoro che non erano italiane, ma prodotte con l'utilizzo di concentrati di pomodoro provenienti dal Sud America e che, con un complesso procedimento chimico, venivano riattivati con addensanti e acqua per restituire un prodotto che era molto simile alla passata di pomodoro e come tale era venduta».

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