I dem si rintanano nella Ztl di Milano e scatta la rissa Bonaccini-Schlein Il piano per Sala

Il day after è il giorno del gran ritorno della "rottamazione" di renziana memoria

I dem si rintanano nella Ztl di Milano e scatta la rissa Bonaccini-Schlein Il piano per Sala

Il day after è il giorno del gran ritorno della «rottamazione» di renziana memoria.

È questa l'arma che imbracciano, appena si delinea la sconfitta, i due principali contendenti per la segreteria del Pd. Il primo a far partire il rullo di tamburi contro il «vecchio gruppo dirigente» è Stefano Bonaccini, che cerca di anticipare sul tempo l'avversaria Elly Schlein. La quale ha buon gioco a obiettargli che lui è «l'usato sicuro», mentre «io di quel gruppo dirigente non ho mai fatto parte». E ti credo, gli replica a brutto muso Bonaccini, «ti sei iscritta solo l'altro giorno». Sorvolando da gentleman sul fatto che di quel mitologico Moloch lei non avrà fatto parte, ma dai suoi tentacoli si è allegramente fatta cooptare a ogni occasione possibile, negli ultimi dieci anni: elezioni europee (da Renzi), elezioni emiliane (da Bonaccini stesso), elezioni politiche (da Letta).

Il match va avanti tutto il giorno, anche per interposti supporter: se Dario Nardella (bonacciniano) contesta a Schlein di essere la pedina di «Zingaretti, Franceschini, Orlando, Bettini», insomma non proprio il nuovo che avanza, l'ex segretario Zingaretti tuona: «Dopo questa sleppa, al Pd serve uno choc: serve Elly Schlein». Bonaccini non sente più la vittoria in tasca: alle primarie, il rischio che il popolo dem accorra a votare la «novità» Schlein, soprattutto nelle famose Ztl che sognano di «rilanciare la sinistra», cresce.

E mentre a Roma anche la Ztl diserta le urne, e il Pd precipita, il caso Milano diventa il centro propulsore di questo disegno. In città il candidato dem Pierfrancesco Majorino, pesantemente sconfitto in Regione, fa il pieno («Anche nelle periferie», tiene a sottolineare) su una linea orgogliosamente «di sinistra». Majorino è un sostenitore della Schlein, ed è a sua volta sponsorizzato dal sindaco Beppe Sala. Il quale, spiegano i dem lombardi, ha un suo piano: mollare Palazzo Marino e candidarsi alle elezioni europee del prossimo anno, come capolista nel Nordovest. Lanciando come suo successore, nelle comunali anticipate, proprio Majorino. Ne ha parlato con diversi maggiorenti Pd, che condividono: «Se ce la giochiamo subito, possiamo riuscire a non perdere anche Milano».

L'accelerazione della deriva gauchiste preoccupa lo storico nucleo riformista del Pd lombardo: «Rischiamo di mettere in discussione il nostro rapporto con Milano», dice Pierfrancesco Maran, che aveva conteso la candidatura a Majorino. E che sottolinea: altro che trionfalismi, in città «abbiamo perso 70mila voti rispetto al 2021».

La consolazione di aver «sconfitto l'Opa» di 5S e Terzo Polo è di breve durata: il Pd si trova anche a corto di potenziali alleati, da un lato e dall'altro. «Siamo il perno insostituibile sia per l'opposizione che per costruire un'alternativa alla destra», dice Enrico Borghi. «Se Conte e Calenda cominceranno a riflettere politicamente, allora forse si potrà ricominciare a fare politica». Ma Conte, sospettano in molti, ha altro in testa: giocare di sponda con Giorgia Meloni (con cui, dietro le quinte, ha ottimi rapporti) per «fare l'opposizione di Sua Maestà», godendo della rendita di posizione protestataria.

«Se la premier gli farà il regalo di cancellare il reddito di cittadinanza - avvertono i dem - gli spianerà la strada per la campagna elettorale alle Europee». Una competizione proporzionale, in cui il problema delle alleanze non si porrà per nessuno, e i 5S potranno tentare la rimonta dopo l'imbarazzante risultato alle regionali, inseguendo il voto sudista.

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