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I dieci giorni di sconfitte che hanno azzerato i 5s

Dal flop del 12 giugno alla scissione di Di Maio, il Movimento ha perso 164 parlamentari in 4 anni

I dieci giorni di sconfitte che hanno azzerato i 5s

Dieci giorni di follia prima dello schianto finale. La cronistoria del suicidio pentastellato rappresenta la perfetta sintesi di una parabola politica destinata al collasso. Sin dal principio. Dalla catastrofe elettorale allo strappo definitivo di Luigi Di Maio, i Cinque stelle sono riusciti in un'impresa di raro autolesionismo: in poco più di una settimana, i grillini hanno distrutto il loro sgangherato carrozzone messo in moto a suon di vaffa e alimentato dalla benzina del populismo. Tolta quella, il motore si è inceppato.

Che il Movimento fosse arrivato ai titoli di coda lo si era capito ormai da tempo, da quando il partito di Giuseppe Conte aveva di fatto deciso di alzare bandiera bianca sulle amministrative. All'appuntamento col voto i 5S erano arrivati impreparati, soprattutto sul fronte dei contenuti e delle proposte. Basti pensare che, in tutta Italia, avevano presentato solo 67 liste: più del 70% in meno rispetto al 2017. Inoltre, tradendo un loro storico e irremovibile diktat, in molti casi si erano apparentati con il Pd e avevano aperto la fallimentare prospettiva del «campo largo». L'amorosa intesa coi dem avrebbe dovuto attutire il colpo di un flop annunciato, ma non è stato così. Alle urne, infatti, i Cinque stelle sono letteralmente sprofondati, anche in quelle zone che in passato avevano dato loro soddisfazioni. L'analisi post-voto è un bagno di sangue; l'inesorabile inizio della fine.

Così, come in ogni commedia che si rispetti, arriva il momento del grande equivoco svelato, quello in cui gli attori calano finalmente la maschera e si dicono tutto in faccia. Lo scontro tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte già in corso sottotraccia diventa dunque di dominio pubblico. Il ministro degli Esteri attacca e accusa: «Alle Comunali mai andati così male». L'ex premier schiva la pugnalata e replica seccatissimo, cercando di salvare la propria leadership. Il caos è totale e a moltiplicarlo ci pensano le voci di una possibile risoluzione grillina contro l'invio di nuove armi in Ucraina. «Così ci disallineiamo dalla Nato e mettiamo a repentaglio la sicurezza dell'Italia», si smarca Di Maio, mettendo all'angolo Giuseppi. Quest'ultimo molla la pochette e impugna la clava: «Luigi si sta cacciando da solo».

A quasi sette giorni dal voto, la spaccatura è nettissima. Ormai, mentre già suonano le prime note del requiem, i pentastellati convocano d'urgenza un Consiglio nazionale per quello che si preannuncia come un vero e proprio regolamento di conti interno. In realtà, i Cinque stelle si scannano e si discreditano a vicenda, ma non deliberano un bel niente. Mentre tutto crolla, Beppe Grillo prefigura il ferale epilogo della sua creatura politica e lontano dai microfoni sbotta: «Così ci biodegradiamo a tempo record».

A staccare la spina ci pensa però Luigi Di Maio, che con 63 parlamentari al seguito se ne va sbattendo la porta e fonda un nuovo gruppo. «Scelta sofferta ma basta ambiguità. Le posizioni dei dirigenti del Movimento indebolivano l'Italia», dice l'ex capo politico dei 5s, tirando una scoppola a Conte. Scissione fatta, il funerale del grillismo ora può essere celebrato davvero.

Intanto, Giuseppe Conte resta con il cerino in mano e incassa l'ennesima umiliazione politica. Dopo aver sollevato il polverone contro l'invio di nuovi armamenti a Kiev, l'ex premier abbassa la testa e vota la risoluzione di maggioranza allineandosi a Draghi.

Cala così il sipario e si spengono i riflettori: con il morto ancora in scena, finisce la farsa pentastellata.

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