I dietrofront di Donald? Errori diplomatici. Chi potrebbe approfittarne è la Cina di Xi

Le promesse rimangiate di tregua in Ucraina e Israele rompono i piani pure sull'Iran. Pechino punta a Taiwan

I dietrofront di Donald? Errori diplomatici. Chi potrebbe approfittarne è la Cina di Xi
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Rimangiarsi le promesse elettorali è un'abitudine internazionale. Ma se le promesse sono parte di un piano diplomatico e chi le ha fatte è il Presidente della principale potenza mondiale allora le cose rischiano di mettersi male. Perché reputazione, prestigio e capacità negoziale di chi le ha formulate rischiano di svanire assieme ai mancati impegni. La dimostrazione è sotto gli occhi di tutti. Le retromarce di Donald Trump da Medio Oriente e Ucraina, dove aveva promesso «cessate il fuoco» quasi immediati, sta intensificando l'attività bellica. In entrambi i casi il fallimento è causato da un approccio sbagliato basato sulle regole degli affari e non su quelle della diplomazia. Regole condensate nel libro del 1987 intitolato «L'arte del negoziato» in cui The Donald consiglia innanzitutto di avere sempre chiaro «quando abbandonare il tavolo». Regola ribadita nel 2014 spiegando che «i migliori accordi sono quelli in cui te ne vai e poi torni per discutere da posizioni migliori». Ma in diplomazia non funziona così.

E per capirlo basta considerare la deriva ucraina e quella Mediorientale. Due tavoli su cui, assente l'America, i contendenti, soprattutto se più forti, si sentono di fare come gli pare. In ambedue i casi l'errore è seguire lo schema finanziario mettendo sul tavolo un offerta ritenuta conveniente per entrambe le parti anziché spingerle alla trattativa. In Medio Oriente Trump ha preteso di trasferire i palestinesi da Gaza per soddisfare le aspettative del governo Netanyahu. Senza realizzare che i primi a rifiutare l'accordo sarebbero stati gli «alleati» di Giordania e l'Egitto chiamati ad accogliere qualche milione di palestinesi. Da qui il fallimento del progetto e la decisione di Netanyahu, favorita dal consenso implicito di Trump, di riprendere i combattimenti. Decisione seguita ieri dal piano che prevede l'occupazione semi- permanente del nord e del centro della Striscia ed il trasferimento a sud di gran parte della sua popolazione. Ma l'eccessivo sbilanciamento di Trump in favore d'Israele rischia di compromettere anche la trattativa sul nucleare con Teheran. Una trattativa su cui la Casa Bianca punta per trovare una soluzione al problema del nucleare iraniano ed evitare il bombardamento della Repubblica Islamica. Anche qui gli errori negoziali rischiano di far saltare il banco. Gli Houthi con dietro un Iran poco disposto a fidarsi di Trump, non rinunciano a colpire Israele. E quest'ultimo potrebbe approfittarne per estendere la sua rappresaglia dallo Yemen ai territori iraniani allargando lo scontro e compromettendo definitivamente qualsiasi ipotesi di pace.

Gli stessi errori basati su improbabili offerte preventive stanno inficiando anche il negoziato sull'Ucraina. Zelensky non può rinunciare alla Crimea senza rinunciare anche al potere. Putin invece è convinto che solo una completa conquista territoriale gli garantirà il pieno controllo di tutte le quattro regioni rivendicate (Lugansk, Donetsk, Zaporizhia e Kherson) e spinge quindi sull'acceleratore dell'offensiva.

Ma in tutto questo l'osservatore più attento ed interessato è la Cina di

Xi Jinping. Una Cina pronta ad approfittare dei dazi americani per allargare i propri mercati commerciali. E a sfruttare l' inconcludenza di Trump per aumentare la propria influenza e stringere il cerchio intorno a Taiwan.

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