"I nostri strumenti sono insufficienti. Ora nuovi modelli per prevedere gli eventi estremi"

Il capo dell'ufficio meteo dell'Aeronautica: "Evento troppo rapido per i sistemi attuali, bisogna aggiornarli per evitare altri disastri"

"I nostri strumenti sono insufficienti. Ora nuovi modelli per prevedere gli eventi estremi"

«Non ci sono stati errori di valutazione, nessuno avrebbe potuto prevedere l'alluvione nelle Marche. La scelta dell'allerta gialla è stata fatta sulla base dei modelli numerici di previsione attualmente disponibili in Europa e in Italia, che sono all'avanguardia, tra i migliori del mondo». Il commento «a bocce ferme» della sciagura è del generale di brigata, Luca Baione, capo dell'ufficio generale per l'Aviazione militare e Meteorologia presso lo Stato maggiore dell'Aeronautica.

Generale, davvero non si poteva prevedere questo disastro?

«Con gli strumenti disponibili non era possibile fare di più. Nemmeno le previsioni del centro europeo avevano fornito indicazioni su un evento così devastante».

Ma cosa è successo esattamente?

«Per dare un'allerta meteo da parte della Protezione civile sulla base delle previsioni meteo dell'aeronautica militare, si analizzano innanzitutto i dati che provengono dal Centro europeo di previsioni che offrono un modello di sviluppo e di previsione globale. In pratica, per trasmettere notizie attendibili dobbiamo sempre sapere cosa succede intorno all'Italia, per esempio, nell'Atlantico o nel Mediterraneo. E queste informazioni le chiamiamo le condizioni a contorno».

Ma non bastano.

«Infatti i dati europei si migliorano e si caratterizzano con quelli formulati dal modello numerico di calcolo dell'aeronautica militare di tipo Lami, che offre previsioni su area limitata. Si entra cioè nello specifico del territorio nazionale, particolarmente complicato per morfologia e orografia, con l'aiuto di 1500 sensori disseminati su tutto il territorio, di 15 stazioni che registrano le attività dei lampi, nonché con i dati satellitari. L'elaborazione di tutti questi dati produce la previsione finale, che è corretta rispetto ai dati inseriti, ma in quanto previsione, comporta sempre una percentuale di possibilità che si verifichino eventi imprevisti».

Ma nello specifico cosa hanno sbagliato questi modelli?

«Non hanno sbagliato, ma sulla base dei dati disponibili e con una capacità di elaborazione e calcolo allo stato dell'arte, hanno individuato un evento estremo sul versante appenninico tirrenico tra Toscana e Umbria, dove comunque si sono verificati fenomeni intensi. Mentre non si possedevano i dati per prevedere gli sviluppi sul versante marchigiano perché l'evento avverso si è formato in un arco temporale estremamente ridotto: si sono verificate quelle condizioni estreme che per rapidità del loro sviluppo non possono essere acquisite ed elaborate da parte dei modelli disponibili e, di conseguenza, non si possono rettificare o aggiornare le previsioni in tempo utile».

Quindi le improvvise alluvioni non si possono prevedere?

«Serve un'evoluzione del sistema. Dobbiamo sviluppare una capacità previsionale, ora superiore alle 12 ore, per portarla al di sotto delle 9/6 ore. In pratica, bisogna essere in grado di rilevare i cosiddetti precursori, cioè quelle condizioni estreme cui accennavo prima, che si manifestano in maniera improvvisa e rapida».

Come si può raggiungere questo obiettivo?

«Sviluppando la capacità di nowcasting, per mettere a punto nuovi modelli all'altezza dei cambiamenti climatici dove i fenomeni estremi, cosiddetti flash floods, saranno sempre più frequenti».

Chi deve gestire questa struttura?

«Tutti gli attori istituzionali presenti nel Comitato di indirizzo per la

meteorologia e la climatologia e, a livello operativo, l'agenzia Italiameteo che deve rappresentare l'elemento di coordinamento e di ottimizzazione delle molteplici capacità nazionali. Ci vorranno mesi di intenso lavoro».

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