Impiegata cade in casa facendo smart working. L'Inail le dà 20mila euro

È scivolata sulle scale mentre era al telefono con una collega. La Cgil: "Un caso storico"

Impiegata cade in casa facendo smart working. L'Inail le dà 20mila euro

E meno male che durante il «duro braccio di ferro» con l'Inail la signora S.W. (iniziali di fantasia, le stesse di Smart Working) il braccio non se l'è danneggiato: altrimenti, chissà, avrebbe avuto il coraggio di chiedere anche un risarcimento-bis. Già, perché il primo risarcimento (un «pacchetto» comprendente: giorni malattia, risarcimento di 20mila euro per «danno biologico», visite e terapie gratis senza obbligo di ticket per i prossimi dieci anni) la signora «Smart W.», 50 anni, lo ha già ottenuto dall'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro per una vicenda che sembra una barzelletta, ma invece è serissima. E che in tempi di telelavoro ormai imperante rappresenta un precedente giuridico destinato - come dicono i frequentatori dei bar nei tribunali - «a fare giurisprudenza». Domanda: se un dipendente in smart working si fa male a casa durante l'orario di lavoro, chi paga? Grazie alla signora S.W. ora lo sappiamo: paga l'Inail, cioè lo Stato, cioè tutti gli italiani. A raccontare la disavventura (ma fino a un certo punto, considerato il bonus da 20 mila incassato dall'«infortunata domiciliare») è stato Il Gazzettino. La vicenda si svolge infatti a Treviso e a renderla pubblica è stata la Cgil locale appuntandosi sul petto come una medaglia il successo ottenuto nella vertenza sindacal-risarcitoria che ha contrapposto la signora S.W. all'Inail.

Per farla breve: l'impiegata veneta (a libro paga di un'azienda metalmeccanica) «stava svolgendo il turno in smart working e, durante una telefonata con una collega di lavoro (utilizzando lo smartphone di servizio), è caduta dalle scale di casa provocandosi un paio di fratture». In epoca pre-Covid tutto sarebbe finito con qualche imprecazione (e qualche giorno di malattia); ma ora i tempi sono quelli che sono e con il telelavoro si può ottenere molto di più, alla faccia di chi (capi, capetti, datori di lavoro e via comandando) considera gli smartworker una sorta di evoluzione tecnologica dell'antica categoria dei «mangia pane a tradimento», come se la linea di demarcazione tra presunti fannulloni e ipotetici stacanovisti possa essere determinata dal luogo (casa o ufficio) dove è collegato il pc e non piuttosto dalle capacità professionali di chi quel pc lo usa, foss'anche dal bagno del proprio appartamento. Ma questo è un altro discorso. Meglio tornare alle peripezia della signora S.W. che, grazie al genio normativo degli esperti Cgil, è riuscita a farsi riconoscere l'incidente come infortunio sul lavoro. «È la prima volta che avviene per una smartworker - esultano i super consulenti della Cgil trevigiana -. L'incidente risale al settembre scorso. La dipendente è andata subito in pronto soccorso dove ha accuratamente raccontato cosa le era capitato, quando e in che modalità. Da lì, come da prassi, è partita la segnalazione all'Inail mentre la donna ha denunciato l'infortunio al datore di lavoro».

Valentina Dalle Feste («feste» retribuite, immaginiamo), responsabile del settore «Tutela della salute» della Cgil trevigiana, ha sottolineato al Gazzettino: «Inizialmente l'Inail non ha riconosciuto l'infortunio perché non riteneva ci fosse un nesso tra ciò che stava facendo la donna e le sue mansioni aziendali. A quel punto è intervenuto il sindacato, che ha fatto ricorso amministrativo all'Inail, il quale, dopo la revisione, è tornato sui suoi passi». Inciampando in una brutta figura.

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