Guerra in Israele

Israele, no al piano di Hamas. "Avanti fino a distruggerli"

Netanyahu chiude al cessate il fuoco: "Porterebbe a un altro 7 ottobre". La replica: "Uno spaccone". La delusione di Blinken

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Nemmeno l'incontro con il segretario di Stato americano Antony Blinken è riuscito a dare una sterzata decisiva alla trattativa mediata tra Israele e i terroristi di Hamas, a quattro mesi esatti dall'attacco del 7 ottobre. «Nessuna resa alle richieste» dei terroristi, ha annunciato ieri Benjamin Netanyahu nella sua prima conferenza stampa da Gerusalemme da inizio guerra, in un attesissimo discorso che avrebbe potuto preannunciare un'intesa sulla tregua nella Striscia di Gaza e allunga invece ancora la trattativa per la fine dei combattimenti e il rilascio dei 130 ostaggi ancora a Gaza. «La guerra finirà solo dopo l'eliminazione dei terroristi. Israele va avanti fino alla vittoria, completa, non c'è alternativa», ha insistito il primo ministro israeliano, confermando come l'esercito sia «pronto a operare» nella zona di Rafah, nel sud della Striscia, al confine con l'Egitto, dove si sono rifugiati gran parte dei civili palestinesi, per i quali Blinken ha ancora chiesto «protezione»: «Penserò ai bambini uccisi a Gaza per tutta la vita», avrebbe detto a Netanyahu.

Eccola la risposta di Israele, attesa per l'intera giornata, alla controproposta di Hamas, consegnata ore prima tramite i mediatori del Qatar al Mossad, e che prevedeva - secondo indiscrezioni della Reuters - una tregua in tre fasi da 45 giorni, per un totale di 135 giorni, quattro mesi e mezzo complessivi, ma a condizioni «inaccettabili» per Israele: la fine della guerra da concordare durante la tregua, il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza e il rilascio di 1500 palestinesi, tra cui anche condannati all'ergastolo. Netanyahu ha chiuso: nessun cessate il fuoco permanente, perché si rischierebbe un secondo 7 ottobre. Eppure «il governo non smetterà di tentare di trovare un accordo per riportare a casa gli ostaggi», è la promessa del premier ai parenti degli ostaggi israeliani, la cui pazienza è al limite, tanto che ieri hanno ripreso a manifestare. La porta alla trattativa, dunque, non è chiusa. Ma in un partita a scacchi diplomatico-militare, che si gioca sulla testa di circa cento ostaggi ancora vivi (una trentina sono morti durante la prigionia nella Striscia), potrebbero volerci ancora dei giorni prima che le due parti arrivino a un'intesa che porti a un beneficio reciproco. E non c'è certezza sull'esito dei negoziati. Lo ha spiegato il ministro della difesa Gallant, ancor prima che Netanyahu parlasse: «La controproposta di Hamas è stata formulata in modo che Israele la rifiuti». Netanyahu vuole sradicare Hamas dalla Striscia e ieri un ufficiale delle forze speciali del gruppo, Majdi Abdel-Al, è stato ucciso a Rafah, in quel sud dove c'è ancora da scovare il leader del gruppo nell'enclave, Yahya Sinwar. Il futuro è tutto da scrivere, anche se Netanyahu non ha dubbi: «Solo una volta finito il conflitto, la Striscia sarà demilitarizzata».

Le pressioni esterne e interne al governo restano tuttavia fortissime. I tre grandi mediatori Stati Uniti, Qatar ed Egitto premono per un accordo con Hamas, i familiari degli ostaggi sono esasperati e la loro rabbia è stata alimentata da sei ex prigioniere a Gaza, sei donne liberate in occasione della prima tregua e che hanno avvertito il primo ministro: «Signor Netanyahu, se continua lungo questa strada, non resteranno più ostaggi da rilasciare».

Hamas ha replicato al premier israeliano accusandolo di «spacconaggine politica» e dicendosi «pronto a tutte le opzioni». Oggi una delegazione del gruppo, guidata da un esponente del suo ufficio politico, Khalil al-Hayya, sarà al Cairo per nuovi colloqui con i mediatori di Egitto e Qatar. Anche gli Stati Uniti non smettono di lavorare per la tregua e il rilascio degli ostaggi.

Ma il governo israeliano è riuscito a fermare il faccia a faccia chiesto da Blinken con il capo di stato maggiore, Herzi Halevi, da cui gli Stati Uniti speravano di avere aggiornamenti militari senza un'intermediazione politica. Il leader dell'Autorità palestinese Abu Mazen e l'Arabia saudita premono su Washington per il riconoscimento di uno Stato palestinese. Per ora sembra un miraggio.

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