C'è del marcio al Parlamento europeo, dice il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, che punta il dito sulla Russia, colpevole di voler influenzare le decisioni di Bruxelles a suon di mazzette. E in Italia come siamo messi? Male, malissimo. Non c'è solo il caso (nient'affatto isolato) dell'ex Cgil Antonio Panzeri, ricompensato con valanghe di euro - dicono le indagini della procura belga - per manipolare le istituzioni europee a favore di Qatar e Marocco.
La Ue si è raccomandata di «monitorare e impedire il reclutamento di ex politici di alto livello a fine mandato», per distinguere le legittime attività di lobbying dalla vera e propria corruzione. Inutilmente, a quanto pare. In gergo si chiama élite capture: si reclutano (in chiaro o sottotraccia) politici di rango o ex amministratori per lanciare una guerra ibrida e indebolire l'Ue. Come l'ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, ingaggiato da Gazprom, l'ex premier del Belgio Yves Leterme o l'ex commissario ceco Stefan Fule, finito nel board di Cefc China Energy.
Ne parlò l'ultima relazione del Copasir a guida di Adolfo Urso (oggi ministro delle Imprese e del made in Italy), che oltre a Qatar, Turchia e Azerbaigian aveva individuato in Russia e Cina le superpotenze straniere desiderose di manipolare il corso della fragile democrazia italiana. In questa sorta di Terza guerra mondiale virtuale siamo il Paese più bersagliato al mondo dagli hacker, soprattutto russi: le falle più mediatiche che reali nella tenuta dei nostri asset hanno decapitato l'Agenzia nazionale per la Cybersicurezza. Bruxelles ha vietato ai dipendenti del Parlamento europeo di installare TikTok per paura che la Cina si impossessi di informazioni sensibili, contagiando in questa bizzarra crociata anche Stati Uniti e Italia. Dai missili nucleari della Guerra Fredda siamo passati ai disperati: secondo il ministro della Difesa Guido Crosetto «la Russia è capace di aprire i rubinetti dell'immigrazione», con la complicità della Turchia (forte dell'accordo con la Germania sui profughi siriani), a danno di Paesi che vengono lasciati soli a sbrogliare la matassa, vedi la tragedia di Cutro.
Ma questa «cooptazione predatoria» è fatta soprattutto di soft power. «L'unico posto in Occidente dove i cinesi hanno una grande influenza sociale è l'Italia», sottolinea il politologo Usa Edward Luttwak. Ma chi c'è oggi a giocare con due o tre mazzi di carte? C'è Romano Prodi, che della Cina è sempre stato sponsor ufficiale. E poi ci sono i suoi figliocci, dall'ex ministro dell'Economia di Conte Giovanni Tria fino a Luigi Di Maio, che oggi gira per Usa a fare lobbying ma che quando era al Viminale veniva considerato «l'uomo di Pechino in Italia» in un documento ufficiale sulla Cina del Congresso datato dicembre 2020 e rivelato dal Giornale nei mesi scorsi. Le liaisons dangereuses dei Cinque stelle con Pechino si sprecano, dal mancato blitz del governo di Giuseppe Conte sulla tecnologia 5G, che i grillini volevano regalare a Huawei - considerato dagli 007 il grande orecchio del regime cinese - fino alla narrazione manipolata del Covid 19, tralasciando l'occhiolino alla Cina del ministro della Salute Roberto Speranza, i respiratori inservibili eppure strapagati (citofonare Massimo D'Alema e alla Silk Road Cities Alliance di Pechino, di cui è presidente onorario) e le mascherine fallate, tanto che per l'Europa l'Italia con i suoi quasi 180mila morti senza giustizia è stata il cluster che ha infettato il Vecchio continente.
Il problema delle porte girevoli tra politica e affari ha investito Enrico Letta, che prima di tornare a seppellire il Pd faceva affari a Londra, in Delaware e New Jersey con i suoi soci cinesi della Liberty Zeta Limited e della Tojoy Western Europe.
E poi c'è lui, l'ex premier Conte: ha davvero compromesso la sicurezza nazionale consentendo alla task force con 104 militari russi di lavorare a Bergamo dal 22 marzo al 9 aprile 2020, fianco a fianco con i nostri medici? Lo stabiliranno i processi o la Commissione d'inchiesta.
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