Quello che la Bce non deve fare, nel contrasto all'inflazione, «è guidare come un pazzo a fari spenti nella notte». Lo scorso febbraio, citando Emozioni di Lucio Battisti nel suo intervento al convegno del Cer a Londra, Fabio Panetta omise volontariamente il verso successivo scritto da Mogol, ossia «per vedere se poi è tanto difficile morire». Il riferimento era chiarissimo: un aumento dei tassi indiscriminato - cioè avulso dagli effetti recessivi prodotti sull'economia reale - non uccide solo l'inflazione ma tutto il sistema dell'euro.
E Panetta questa dissonanza rispetto alla politica di Madame Lagarde (che sembra più guidata dal falco tedesco Isabel Schnabel che dall'accomodante vicepresidente spagnolo de Guindos) non ha mancato di metterla agli atti in tutti questi mesi. In un'intervista di due settimane fa a Le Monde il futuro governatore di Bankitalia aveva dichiarato che «non abbiamo raggiunto la fine del nostro ciclo di rialzo dei tassi, anche se non ne siamo lontani», parole molto diverse da quelle pronunciate ieri dal capo dell'Eurotower.
Frasi rassicuranti che confermano come la scelta del successore di Ignazio Visco effettuata dal Consiglio superiore di Bankitalia e avallata dal governo (e prossimamente anche dal Quirinale) sia in effetti la migliore possibile allo stato dell'arte. Panetta è un banchiere che è sempre stato dalla parte della sua patria. Entrato nel direttorio di Via Nazionale nel 2011 (dopo l'affiancamento ai governatori Antonio Fazio e Ignazio Visco per i quali ha lavorato sin dal 2004), fu tra i pochi a esprimersi contro il bail in che porto alla cancellazione con un tratto di penna di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti con perdite costose per azionisti e obbligazionisti. «La risoluzione deve costituire una extrema ratio, un'ipotesi possibile ma auspicabilmente remota», disse nel corso di un seminario a ottobre 2015 l'allora vicedirettore generale di Bankitalia, a un mese dal disastro. E a gennaio 2016 chiese alla Bce e alla Vigilanza bancaria Ue «una rivisitazione dei tempi e dei modi» per evitare crisi sistemiche e di fiducia. Drammi che poi con VenetoBanca e PopolareVicenza sono stati parzialmente evitati.
Ma le parole più belle sono state pronunciate a Foggia nel 2019 quando ribadì che le infrastrutture sono funzionali allo sviluppo e che «la via maestra per sostenere l'occupazione è una riduzione del costo del lavoro da attuare nel rispetto degli equilibri delle finanze pubbliche», di fatto appoggiando il taglio del cuneo fiscale come strada maestra per la riduzione del numero di disoccupati. Un conservatore con idee innovative che in ambito bancario si traducono in sostegno alle aggregazioni per conseguire economie di scala e perseguimento di un sentiero di trasparenza sotto tutti i punti di vista.
Fabio Panetta è nato a Roma il primo agosto 1959. Laureatosi con lode a 23 anni all'Università Luiss, è entrato in Banca d'Italia nel 1985 diventandone capo della divisione monetaria e finanziaria nel 1999.
Nel 2007 è stato nominato da Mario Draghi capo del Servizio Studi e nel 2011 Direttore centrale per il coordinamento della partecipazione della Banca d'Italia all'Eurosistema. Dal 2012 al 2019 è stato vicedirettore generale di Palazzo Koch e dal maggio 2019 a inizio 2020 direttore generale, carica durata poco per via della sua cooptazione nel board di Francoforte.
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