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Letta celebra la sinistra rimasta senza grillini. E vuole fare il premier

Il dem sogna Draghi al Colle per poi guidare una maggioranza "Ursula" senza sovranisti

Letta celebra la sinistra rimasta senza grillini. E vuole fare il premier

È «un'onda», che «tocca tutti gli angoli del Paese». È «una vittoria al di sopra di ogni aspettativa, un risultato che non ammette discussioni» e che «rilancia» un Pd che, quando è arrivato lui, «era in crisi» ma ora «vince ovunque».

Enrico Letta celebra con comprensibile entusiasmo la tombola delle amministrative, in cui il centrosinistra ha portato a casa quasi tutto, e il centrodestra ha incassato una sconfitta pesante (con l'eccezione dei candidati berlusconiani). E assicura che questo è accaduto perché «gli elettorati del centrosinistra si sono saldati». Il che può essere reale per quelli di Renzi e Calenda, che hanno sostenuto i candidati dem, ma certo non per quello grillino, rimasto a casa, il che dovrebbe allarmare Letta. Anche perché Conte, archiviata la parentesi antifascista e di sinistra della piazza Cgil, ora promette «opposizione senza sconti» ai sindaci Pd, e si guarda bene dal celebrare il successo degli alleati.

Ora c'è da capire come il leader Pd vorrà usare il risultato: nella conferenza stampa di ieri, Letta è stato ben attento a rassicurare sulle sue intenzioni. «Potremmo avere interesse ad andare subito al voto», dice, ma il Pd vince perché (a differenza di Salvini e Meloni) sostiene senza esitazioni il governo Draghi, che «è rafforzato da questo voto, e al quale chiediamo di andare avanti per tutta questa legislatura». Un messaggio che vuole rassicurare le truppe parlamentari, che il leader Pd ha tutto l'interesse a tenere compatte per la partita del Colle. Eppure, in casa Pd, le orecchie più attente hanno percepito quella sottile omissione, la data del 2023 come scadenza naturale della legislatura. E hanno registrato sia le sirene rivolte a Berlusconi, il «federatore» senza il quale il centrodestra perde, e sia l'impegno a «eleggere il prossimo presidente della Repubblica con la maggioranza più ampia possibile». Parole che confermano, in una parte del Pd, la convinzione che il piano di Letta sia chiaro: eleggere Mario Draghi al Colle, varare un governo a maggioranza «Ursula» (senza Salvini e con Forza Italia, e con i Cinque Stelle ormai ridotti a ruota di scorta dei dem) e andare al voto il prossimo autunno. Presentandosi come candidato premier e rivendicando il ruolo di erede politico di Draghi. Il tutto entro un anno, prima che il centrodestra si riprenda dalla batosta e riesca magari a trovare un nuovo «federatore», che soppianti i suoi due consunti leader sovranisti.

Un piano che trova forti resistenze esterne (Meloni e Salvini non hanno più una gran voglia di andare al voto) ma anche interne. Non è un caso se l'ex capogruppo Andrea Marcucci, prima ancora dei risultati, mandava un avvertimento, riprendendo la proposta di Carlo Calenda (Draghi premier anche dopo il 2023) e definendolo «affascinante, per garantire una guida autorevole al paese», e chiedendo su questo «una riflessione seria» al Pd. Dietro le quinte, le manovre contrapposte a Letta sono già in pieno corso. Ci si consulta con Renzi, e anche con Salvini e Forza Italia. Obiettivo: un candidato «politico» per il Colle, che assicuri la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi e la durata della legislatura. Si lavora sul nome di Casini («Salvini ci ha assicurato che i suoi lo votano», confida un dem) ma si punta anche su Mattarella, che «al bis ci pensa, eccome», si assicura.

E che sarebbe l'unico, si ragiona, a poter tagliare la strada per il Colle a Draghi.

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