
Non lascia spiazzati gli europei, il «ni» di fatto a un cessate il fuoco. Ma piuttosto l'apertura del presidente russo, fatta ieri a Donald Trump, per stilare un imprecisato memorandum in vista di ipotetici negoziati di pace con l'Ucraina. Stando così le cose, gli sherpa delle principali cancellerie dell'Ue temono ora, dopo l'ennesimo tentativo diplomatico Made in Usa a cui i «Volenterosi» hanno dato pieno appoggio con una serie di telefonate nel nuovo formato in cui la Casa Bianca ha voluto includere anche Giorgia Meloni, che il processo di pace possa protrarsi a oltranza, nonostante l'ottimismo mostrato da The Donald sui social e ribadito ieri in una call con i leader di Germania, Francia, Italia e Finlandia, a cui hanno preso parte anche la presidente della Commissione europea Von der Leyen e il presidente ucraino Zelensky. Ecco perché, nella conversazione con Trump post colloquio con Putin, i partner europei hanno annunciato di voler aumentare la pressione su Mosca con le sanzioni.
Nel braccio di ferro con la Federazione, l'Ue era già pronta a varare un nuovo, il 17esimo, pacchetto punitivo per mettere in ginocchio la «flotta ombra» che trasporta gas e petrolio russi, per intaccare l'export di Mosca: annunciato prima dell'auspicato round di negoziati diretti in Turchia. E ieri confermato. Ma con Washington, gli europei hanno pure «concordato di coordinare strettamente il processo negoziale e di tenere un'ulteriore riunione tecnica», ha riferito la cancelleria tedesca.
L'annuncio di sanzioni resta valido. Secondo gli sherpa Ue, è considerato tuttora la leva con cui andare in pressing su Putin, magari togliendo di mezzo gli ultimatum sui tempi di risposta da Mosca. Le misure europee ribadiscono la «volontà di accompagnare l'Ucraina nel percorso di cessate il fuoco». Specie perché, stando a quanto emerso dalla telefonata tra Putin e Trump, l'eventuale prima intesa prevedrebbe di eliminare quelle che la Federazione considera le cause di fondo del conflitto.
Non si tratta semplicemente delle condizioni già poste in precedenza, in parte condivise di fatto anche dalla maggior parte dei membri dell'Alleanza atlantica: che Kiev non entri nella Nato, per esempio, punto su cui Mosca chiederebbe una sorta di impegno scritto e controfirmato dalle parti. Ma la certezza che gli europei non pensino neppure in linea prospettica di far entrare la Nato in Ucraina: di fatto con truppe a garanzia del processo di pace. Quella era l'idea iniziale franco-britannica alla base della prima versione della Coalizione dei Volenterosi. Ieri anche Von der Leyen (e pure Macron) ha ringraziato Trump «per gli instancabili sforzi volti a ottenere un cessate il fuoco», confermando di voler continuare «a sostenere Zelensky nel raggiungimento di una pace duratura». Il diavolo si nasconde però nei dettagli. Le parole di Ursula non alterano il processo di riarmo messo in campo da Bruxelles e inviso a Mosca: il regolamento Safe, il fondo da 150 miliardi di euro immaginato dalla Commissione per appalti congiunti nel settore difesa, è stato approvato «in linea di principio» dai rappresentanti permanenti dei 27. Via libera entro 10 giorni. Cronoprogramma comunitario.
E percorso di autonomia strategica che riporta le lancette all'ante-Brexit, a una difesa «europea» con dentro anche Londra. «Vicini, alleati, partner, amici», nell'interesse comune di affrontare pure il graduale disimpegno Usa dal Vecchio Continente.
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