Cronaca internazionale

L'sos dell'italiana Amina dal carcere in Kazakistan. "Aiutatemi, sto morendo"

La 18enne pugliese è da tre mesi ad Astana. Le accuse di traffico di droga. La madre: "Ha tentato il suicidio"

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Ha tentato per due volte il suicidio e ha perso nove chili la 18enne Amina Milo Kalelkyzy, cittadina italiana residente a Lequile, in Salento, da tre mesi agli arresti in Kazakistan con l'accusa di traffico internazionale di droga, per cui rischia fino a 15 anni di carcere. Si era recata ad Astana nel luglio scorso per visitare alcuni parenti quando, dopo essere uscita con alcuni coetanei, sarebbe stata arrestata e segregata in un appartamento per più di due settimane. La madre, Assemgul Sapenova naturalizzata italiana, non crede alle accuse della polizia locale e chiede che si faccia luce su una vicenda che presenta contorni ancora poco chiari.

Intanto ha denunciato di essere stata contattata telefonicamente al fine di pagare un riscatto di 60mila euro, quindi ha chiesto aiuto alle autorità italiane che, tramite l'ambasciata ad Astana, hanno favorito il rilascio. Ma poi sul corpo della giovane avrebbero riscontrato segni di violenze, lividi che secondo i suoi legali erano dovuti ai maltrattamenti subiti in carcere. Infine, non conoscendo la lingua, la giovane avrebbe firmato dei documenti che avrebbero portato all'accusa di traffico di droga e quindi al nuovo arresto.

Il caso della 18enne, ancora in carcere, è attenzionato dalla Farnesina: il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiesto all'ambasciata di assicurare la massima assistenza alla ragazza, che riceve visite regolari da parte del personale consolare italiano in Kazakistan. Anche in occasione delle udienze processuali c'è stata la presenza costante di un funzionario dell'ambasciata in qualità di osservatore. Ma è stata sempre respinta la richiesta, avanzata più volte da parte della madre, di ottenere gli arresti domiciliari, in quanto le autorità kazake pensano che ci possa essere il pericolo di fuga.

«Chiedo aiuto all'Italia e in particolare al ministro Tajani, vi prego aiutatemi, voglio tornare a casa», ha scritto Amina su un biglietto consegnato alla madre. Intanto la signora Assemgul staziona all'esterno del carcere e non si capacita di questa situazione. A chi l'ha incontrata ha raccontato che sua figlia ha tentato il suicidio per due volte e che ha perso quasi dieci chili in tre mesi: «È stanca, siamo tutti molto depressi. Non la lascio sola con questi lupi», aggiungendo che, in occasione del primo arresto, gli agenti le dissero di non rivolgersi all'ambasciata italiana perché avrebbero «fatto del male» a sua figlia.

Sono circa duemila i cittadini italiani detenuti all'estero, la maggior parte nell'Unione europea, con in testa la Germania (1.489): 861 sono in attesa di giudizio e 1.600 condannati. I più noti sono Marco Zennaro, detenuto in Sudan con l'accusa di truffa, e Chico Forti condannato all'ergastolo fino alla morte negi Stati Uniti, mentre è andata meglio a Patrick Zaki, cittadino egiziano che studiava a Bologna liberato lo scorso 20 luglio, anche grazie ad un eco mediatico non indifferente.

Sempre lo scorso luglio erano stati liberati due connazionali, Antonio Calvino e Giovanni Mattia, che si trovavano da due anni e mezzo in regime di carcere preventivo in Venezuela.

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