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L'ultima canzone per Bobo tra Stato e barbari sognanti

Ai funerali di Maroni a Varese anche la Meloni e i presidenti delle Camere. E il "Distretto 51"

L'ultima canzone per Bobo tra Stato e barbari sognanti

La gente, fuori, batte le mani. E chi può si affaccia ai balconi che formano una sorta di quinta risorgimentale nel cuore di Varese. Dentro, la basilica di San Vittore inghiotte il Palazzo che si stipa nella penombra delle panche per l'ultimo saluto a Roberto Maroni. Nello spazio di pochi metri si ritrovano il premier Giorgia Meloni e l'ex capo del governo Mario Monti; i governatori leghisti Zaia e Fedriga, l'ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, i ministri Giorgetti, Tajani e Santanché. È un funerale con tanta musica, dolore diventa commozione, ma c'è anche più speranza che disperazione. Meloni, che entra fra scrosci di applausi, riconosce subito la straordinarietà di Maroni: «Sapeva fare gioco di squadra. Fra l'altro ci sentivamo. Penso che l'Italia sia stata fortunata a poter contare su una persona così nelle istituzioni». Ci sono i canti della tradizione e quelli della band Distretto 51, in cui Bobo era tastierista, e le musiche, struggenti, danno il metronomo di una cerimonia toccante ma in qualche modo leggera, mai ingessata nell'ufficialità. Per una volta il Palazzo e il popolo sembrano vivere senza barriere le stesse emozioni e annuiscono insieme alle parole di monsignor Giuseppe Vegezzi che tesse un elogio anticonvenzionale: «Da molti varesini, negli ultimi giorni, ho sentito dire che era uno di noi. Bobo ha cercato di vivere la politica nel segno della concretezza ambrosiana del bene». Insomma, Maroni, ex titolare del Viminale ed ex presidente della Regione Lombardia, aveva saputo colmare le distanze che di solito allontanano la politica dalle dimensioni della vita comune. Non basta, perché il vescovo va anche oltre con un ritratto più intimo di Roberto: «A Lozza, il suo paese, era il marito di Emilia, il papà di Chelo, Fabrizio, Filippo. Affidiamo Bobo al Dio della vita non dei morti. Altra sua passione la musica, nata in oratorio, fino a mettere su la Band del Distretto 51. È bello sapere che sta cantando anche per noi». E che si è dato da fare fino alla fine, senza impiccarsi alle distinzioni partitiche ma badando alla sostanza: «Roberto Maroni - spiega il sindaco di Milano Beppe Sala - era un visionario. Le Olimpiadi le abbiamo portate a casa anche grazie a lui. In lui c'era un'incrollabile fiducia che si potessero fare le cose con coraggio. Era un uomo coraggioso». La cerimonia tiene insieme i tre sfidanti di Palazzo Lombardia: Attilio Fontana, governatore uscente, e poi Letizia Moratti e Pierfrancesco Majorino; ancora i presidenti di Camera e Senato, Fontana e La Russa, il ministro dell'agricoltura Lollobrigida e il sottosegretario Alfredo Mantovano. «Papi - attacca alla fine il figlio Filippo - fuori dalla famiglia rimanevi fuori da molte cose, dai problemi di tutti i giorni, ma sapevamo che ci volevi bene. A volte durante un film chiedevi: Metti in pausa. Poi ci abbracciavi e ci dicevi: Vi voglio bene».

Un lungo applauso accompagna la fine del rito.Meloni esce e saluta la famiglia: «Oggi ci avete insegnato qualcosa». Anche Matteo Salvini, per un periodo nella scia di Maroni prima di prendere la propria strada, sintetizza la lezione del maestro che se n'è appena andato: «La sua eredità e risolvere i problemi, non crearli». Le facce della gente sono impastate di commozione.

E aspettano che l'ultima auto blu sia scivolata via, prima di lasciare il sagrato della basilica.

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