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L'Ungheria sfida la Ue. Referendum sulla legge che discrimina i gay

Il premier Orbán: "Dite No ai cinque quesiti". L'opposizione: "Boicottiamolo come nel 2016"

L'Ungheria sfida la Ue. Referendum sulla legge che discrimina i gay

Come fece nel 2016, per rigettare le quote di ripartizione dei migranti decise dall'Unione europea, Viktor Orbán alza l'asticella dello scontro con Bruxelles e chiama a raccolta il popolo d'Ungheria. Stavolta c'è di mezzo lo scontro con la Ue sulla legge per la «tutela dei minori» che regola le informazioni sulla comunità Lgbtqia (lesbiche, gay, bisex, trans, intersessuali, queer, asessuali). Armato del suo ultranazionalismo, marchio di fabbrica dell'esecutivo di Budapest, Orbán annuncia il referendum: «Quando la pressione contro la nostra patria è così forte, solo la volontà comune del popolo può difendere l'Ungheria».

Entrata in vigore l'8 luglio, la norma rende illegale mostrare o promuovere, a scuola e nei media, contenuti che rappresentino «deviazioni dall'identità corrispondente al proprio sesso assegnato alla nascita» se i destinatari sono minori, mettendo di fatto sullo stesso piano omosessualità e pedofilia. Il provvedimento, considerato discriminatorio dalle Ue, è stato definito «una vergogna» dalla presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen tanto che Bruxelles ha aperto una procedura d'infrazione contro l'Ungheria, ha rinviato l'approvazione del Recovery Fund (7,2 miliardi) destinato a Budapest e medita l'introduzione di sanzioni dopo che l'Europarlamento ha votato una risoluzione che esorta l'Unione ad avviare un'azione legale contro il Paese, già condannato per «evidente rischio di violazione grave dei valori» europei.

Governata dalla maggioranza assoluta di Fidesz, il partito nazionalista e ultraconservatore sospeso dal Ppe nel 2019 e poi uscito per sua scelta a marzo di quest'anno, l'Ungheria sovranista spaventa l'Europa ma non intende arretrare. E allora referendum sarà. Composto da cinque quesiti. Uno: «Sostieni che i minori dovrebbero frequentare le lezioni scolastiche sul tema degli orientamenti sessuali senza il consenso dei genitori?». Due: «Sostieni la promozione di trattamenti per il cambiamento di genere tra i minori?» Tre: «Sostieni che la chirurgia di riassegnazione del sesso debba essere disponibile per i minori?». Quattro: «Sostieni che i contenuti dei media che influenzano lo sviluppo sessuale dovrebbero essere presentati ai minori senza restrizioni?». Quinto e ultimo: «Sostieni che i contenuti multimediali che descrivono il cambiamento di genere debbano essere mostrati ai minori?». L'invito del premier è a votare sempre «No».

«È un'iniziativa per distogliere l'attenzione dai guai del governo ungherese», attacca l'opposizione citando lo scandalo Pegasus: migliaia di politici, oppositori e giornalisti spiati anche dall'Ungheria, sulla quale la Ue ha avviato anche un'indagine per spionaggio. L'invito della minoranza è a boicottare il referendum, che vuole «mettere gli ungheresi gli uni contro gli altri» e usa i minori per «vili fini di propaganda».

Nel 2016 finì male per Orbán: il referendum non raggiunse il quorum (votò il 43,2%) ma il primo ministro si convinse di aver dato comunque un segnale politico forte. Il 98% degli ungheresi che si recò alle urne disse «No», non vogliamo che la Ue «imponga a ogni paese membro quote di ripartizioni di migranti, senza consultare governo e Parlamento nazionali e sovrani magiari». Il portavoce del partito Coalizione democratica (DK), Barkóczi Balázs, è convinto che anche stavolta finirà come allora, con il referendum nullo.

«Come conseguenza della sua disperazione, Orbán fa la solita cosa, inventa un'ennesima guerra con la Ue».

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