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Di Maio manda in tilt il Fatto. Che rifà il processo a Uggetti

Dopo l'assoluzione in Appello dell'ex sindaco di Lodi, il Ministro degli Esteri ha fatto mea culpa, sostenuto anche da Giuseppe Conte ma non da Marco Travaglio

Di Maio manda in tilt il Fatto. Che rifà il processo a Uggetti

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Luigi Di Maio ha costretto Marco Travaglio a fare una scelta dolorosa: difendere il dogma manettaro o quello grillino. Perché se fino a pochi giorni fa le due religioni civiche erano sempre andate di pari passo, le scuse del Ministro degli Esteri all'ex sindaco di Lodi Simone Uggetti hanno mandato in tilt la bussola di Travaglio.

I fatti: il 4 maggio 2016 il politico venne arrestato insieme all'avvocato Cristiano Marini, consigliere della partecipata Sporting Lodi, a seguito della denuncia formulata da una funzionaria comunale per ingerenze e pressioni nella redazione di un bando relativo alla gestione di due piscine scoperte. Venne arrestato e sospeso dalla carica il successivo 3 maggio, a seguito delle indagini per turbativa d’asta. La condanna fu di 10 mesi di reclusione inflitta in primo grado con rito abbreviato, e risarcimento delle casse comunali. Dopo una decina di giorni di carcere iniziò a collaborare con i pm e beneficiò degli arresti domiciliari. Ora, 5 anni dopo, è stato assolto dalla Corte d’Appello di Milano perché il fatto non sussiste.

Visto il ribaltone in Tribunale, sono arrivate, un po' a sorpresa, le scuse di Di Maio (e anche quelle di Salvini, che mostrò il gesto delle manette in piazza) per i toni persecutori dell'epoca, accompagnate dal plauso del motore immobile del Vangelo secondo Travaglio, Giuseppe Conte, che ha parlato di "gogna mediatica" capace di "imbarbarire lo scontro politico". Fa un po' sorridere detto da chi divenne noto al popolo per i "nomi e cognomi" degli avversari politici snocciolati a reti unificate durante una conferenza stampa da Palazzo Chigi in piena pandemia.

Ma non ci trova proprio nulla di divertente la direzione del Fatto Quotidiano, decapitata in un colpo solo di due leader del Credo giustizialista. Sull'edizione di oggi il Fatto ricostruisce la questione negando la "gogna politica" (che ci fu, e fu bipartisan, ma caratterizzata dallo stile persecutorio dei grillini) e addossando ad Uggetti tutte le responsabilità per la sua pubblica ammenda che nel tribunale popolare equivarrebbe ad una confessione. Uggetti si scusò per aver gestito male la cosa pubblica e aver pensato potesse essere saggio formattare il pc e cancellare ogni cosa, anche slegata dal fatto in sé, e per questo meritava di certo gli attacchi politici specie della sua opposizione e della cittadinanza del suo Comune. Ciò non significa, però, che sia automaticamente colpevole del reato di turbativa d'asta e che dovesse essere sepolto sotto una pioggia di monetine.

Il paginone del Fatto, oltre che tenere il punto sull'inconfondibile impronta demonizzatrice, sa molto di rimprovero a Di Maio e Conte, e alle scuse che infatti Travaglio ha definito a Mezz’ora in più su Raitre "una solenne sciocchezza".
Al pupillo di Michele Santoro non resta che cambiare cavallo e puntare magari su fenomeni politici come l’ex ministra (ed ex grillina) Barbara Lezzi, che criticando Di Maio si dice persino orgogliosa e nostalgica dell'impronta manettara del M5S dell'epoca: "Rivendico quel coraggio del M5S di allora di accendere il faro sull’opportunità politica: qui non si tratta di giustizia, è un dato conclamato che nel nostro Paese ci sono amministratori, parlamentari, che negli anni sono stati oggetto di indagini e spesso di condanne".

Musica per le orecchie di Travaglio.

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