La mano di poker senza uscita di Enrico Letta

Il segretario del Pd Enrico Letta, rispetto al Colle, si trova in guado. La sua è una mano di poker senza uscita. E l'all-in su Draghi è troppo pericoloso: si rischia la fine di Prodi nel 2013

La mano di poker senza uscita di Enrico Letta

Per capire che aria tiri in via del Nazareno non serve origliare fuori dal portone ma basta incontrare qualche alto dirigente del Partito Democratico. Enrico Letta si è incagliato attorno ad una figura semi-mitologica: quella del "king maker collettivo". Se fossimo nel poker, si direbbe che l'ex premier ha una carta pesante, se ce l'ha, ma che non ha incastri sufficienti per giocarla.

Due sono i nomi sul tavolo: il primo è il presidente uscente Sergio Mattarella, che è contrario all'eventualità di un bis, ma che continua ad essere tirato per la giacchetta. Su Mattarella il commento più ricorrente dei Dem è questo: "La speranza, soprattutto quella democristiana, è l'ultima a morire".

Un vero e proprio piano B, in casa del Pd, non c'è: si attende invano che Mattarella possa convincersi. Ma dal Quirinale, com'è divenuto chiaro rispetto alla forzatura del ddl Zanda ed altri, non sono arrivate aperture. Poi c'è il secondo nominativo buono per un "king maker collettivo", ossia l'attuale presidente del Consiglio Mario Draghi, che vuole andare al Colle ma che deve considerare quali sarebbero i rischi per la tenuta del Paese con un abbandono della premiership e con un conseguente rimescolamento dell'assetto governativo. É in questo guado che Enrico Letta si muove: un labirinto senza via d'uscita che denota, per una parte della dirigenza Dem, un certo grado d'impreparazione all'appuntamento chiave del Colle.

Quella di Letta diviene così una mano di poker: con l'indisponibilità di Mattarella, l'unica carta reale è quella di Draghi. Non è un asso nella manica, come la situazione richiederebbe, ma la sola mossa possibile. Sì, ma quando calarla? Per quando predisporre l'esordio del nome più pesante che esista al momento? Il giro del Colle non è un match secco: prevede una serie di chiame ed il rischio bruciatura, in specie con il Vietnam parlamentare odierno, è altissimo. Nelle prime tre chiame, da sempre, esiste un problema che ha un nome ed un cognome: Franco Tiratore o Tiratore Franco, che dir si voglia. Se Draghi dovesse essere presentato tra i primi nomi delle prime chiame, con la voglia che tanti parlamentari hanno di non mollare gli ormeggi e di restare incollati alla sedia, l'ex presidente della Bce potrebbe essere impallinato. Bastano poche schede di avvertimento.

La quarta chiama potrebbe essere la prima reale ma a quel punto l'attimo potrebbe essere sfuggito: è possibile che, arrivati a quel momento della contesa, qualche altro esponente abbia già incasellato una serie di consensi tali da rendere il nome di Mario Draghi poco spendibile o del tutto desueto. Anche perché la quarta chiama è una suggestione e non una certezza: per averla bisogna possedere la garanzia che il Parlamento non decida prima. E questa garanzia, il segretario Enrico Letta, non ce l'ha. Il che rischia di tramutare un progetto di all-in in una mano andata a vuoto:

Letta non sa come uscirne ed allora mette le mani avanti sul fatto che non venga fuori un'elezione alla Giovanni Leone, cioè con un distacco risicato. Ma il Parlamento è sovrano e le regole sulle maggioranze da raggiungere sono sin troppo chiare. Quello che una parte della dirigenza Dem chiama "rompicapo" è lungi dalla risoluzione ed a poco servirà il soccorso rosso dell'ex premier giallorosso e gialloverde. Giuseppe Conte ipotizza una candidatura unitaria: è un'ipotesi destinata a tramontare entro i primi giri di boa, quando sarà chiaro che il "campo largo" non arriva ai numeri richiesti. E poi Conte, che dopo aver fatto il junior partner vuole fare il junior king maker, non controlla neppure i suoi di gruppi parlamentari.

Quale sia il quadro reale attorno a questa chimera di "king maker collettivo", quasi per paradosso, ce lo spiega il senatore Emanuele Dessì, che ora, dopo essere uscito dal MoVimento 5 Stelle, ha rifondato il gruppo del Partito comunista in Senato: "Dipende dal processo di selezione del candidato.

Se è ampiamente condiviso con un metodo trasparente il rischio di franchi tiratori c'è ma è basso, in caso contrario, tipo per il "candidato condiviso" (cioè il "king maker collettivo"), si rischia un secondo Prodi". Ecco: lo sanno bene anche fuori dal Pd.

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