Merkel-Johnson, crisi degli Europei. E sui diritti civili è guerra degli stadi

La Cancelliera: "Finale da spostare". La replica: "Sarà a Wembley con 60mila spettatori". No Uefa alle luci arcobaleno per il match Germania-Ungheria. E 14 Paesi Ue contro la legge anti-gay di Orban: c'è l'Italia

Merkel-Johnson, crisi degli Europei. E sui diritti civili è guerra degli stadi

Attacco respinto con tanto di pallone spazzato via in tribuna. Il giorno dopo la ridda di voci su un possibile spostamento della finale degli Europei, incluso l'intervento a gamba tesa del Premier Mario Draghi in compagnia della Cancelliera Angela Merkel, il tandem Inghilterra-Uefa gonfia il petto e tira dritto sulla strada già tracciata. In ossequio a una strategia studiata dietro le quinte, ieri sono scesi in campo tutti i componenti delle fazioni capeggiate da Boris Johnson e Aleksander Ceferin, con tanto di annuncio che il tempio di Wembley ospiterà oltre 60mila spettatori per semifinali e finale. Capienza ampliata fino al 75% della capacità originaria, dopo i 22 mila della fase a gironi e i 40 mila di ottavi e quarti. Con tanti saluti alle preoccupazioni legate alla risalita dei contagi nel Regno Unito, arrivati a 11.625 nelle ultime ventiquattro ore.

«Siamo entusiasti di questa novità - ha esultato Oliver Dowden, ministro della Cultura e dello Sport - Le partite conclusive, con misure stringenti e rigorose, saranno un momento indimenticabile sulla strada della nostra ripresa nazionale dalla pandemia». Non sono stati forniti dettagli sulla possibile quarantena per i tifosi (attualmente in vigore per chi arriva da tutta Europa), ma già ieri mattina il ministro della Salute Matt Hancock era certo dell'epilogo: «La finale sarà a Wembley. Ci sono stato personalmente, è stato stupendo sentire il tifo della gente in una grandissima location come la nostra». Il primo ministro Boris Johnson si è espresso attraverso le parole del suo portavoce, ammettendo di «non vedere l'ora di organizzare una finale fantastica» e annunciando colloqui in fase avanzata con l'Uefa sia in merito alle restrizioni legate al Covid sia alla presenza di 2500 tifosi vip sulle tribune di Wembley. Immediata è arrivata la sponda dell'organismo di governo del calcio europeo. Il presidente Aleksander Ceferin ha espresso gratitudine «al primo ministro e al governo del Regno Unito per il duro lavoro nel finalizzare questi accordi con l'Uefa», siglando un comodo (e scontato) assist legato alla vicenda Superlega. In occasione del tanto contestato lancio infatti Johnson aveva manifestato tutta la sua contrarietà, ipotizzando perfino una legge ad hoc per fermare il tentativo e prevenire scenari simili in futuro. Poco tempo dopo è anche arrivata una multa - da 20 milioni di sterline - della Premier League ai sei club scissionisti (Arsenal, Chelsea, Liverpool, Man City, Man United e Tottenham). Come per i migliori do ut des, ecco ricambiato il favore nonostante un colpo di coda in extremis della tedesca Angela Merkel: «Spero che la Uefa agisca in modo responsabile. Non è positivo il fatto di avere gli stadi pieni nel Regno Unito, essendo una zona a rischio a tutti gli effetti». Il casus belli delle partite più importanti dell'Europeo da giocare a Londra ha finito per mettere d'accordo anche i litigiosi virologi, in primis Clerici («Non si può andare a giocare nella tana del lupo») e Ricciardi, che ha definito Londra come «la capitale meno adatta per un evento del genere, da disputare in un Paese con una circolazione virale più bassa». L'asse Inghilterra-Uefa non vuole sentire ragioni.

E a proposito della guerra degli stadi è andata in frantumi anche la richiesta di illuminare a tinte arcobaleno l'Allianz Arena per Germania-Ungheria in programma stasera.

La Uefa aveva dato il via libera alla fascia pro Lgbt di Neuer, ma Ceferin sembra aver fatto retromarcia: «Il calcio non deve essere usato a fini politici, a prescindere dal messaggio da lanciare e dalla nostra visione», schierandosi di fatto con il premier ungherese Orban che si era opposto all'iniziativa. Un no che arriva proprio nel giorno in cui 13 paesi Ue compresa l'Italia hanno firmato una dichiarazione di condanna per le leggi discriminatorie in base all'orientamento sessuale varate in Ungheria.

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