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Morto Tronti, comunista eretico e garantista

Teorico dell'operaismo, non si abbandonò mai alle derive giustizialiste del Pd

Morto Tronti, comunista eretico e garantista

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«La legalità democratica non ha molto a che fare con il giustizialismo e neanche con il garantismo, peloso o sbraitato che sia». Il filosofo Mario Tronti, scomparso ieri all'età di 92 anni, amava spiazzare la sinistra con queste sortite che parevano tradire la sua storia intellettuale, intrisa non solo di Marx ed Engels ma anche di Togliatti e Berlinguer. Questa affermazione restituisce i motivi del perché nella sua carriera parlamentare (è stato senatore del Pds dal 1992 al 1994 e del Pd dal 2013 al 2018; ndr) non si sia mai abbandonato alle pulsioni manettare dei suoi compagni di partito. Quando gli sembrava che la giustizia stesse facendo politica e che una parte del Parlamento si appoggiasse ai magistrati per trarne legittimazione alle sue battaglie, egli si sottraeva, si tirava indietro.

Un paradosso molto difficile da comprendere se si collega questo suo atteggiamento garantista a uno spirito profondamente rivoluzionario. Ed è proprio da Engels che bisogna partire per cercare di interpretarlo. «Engels aveva sottolineato i vantaggi della democrazia e aveva sottolineato la disperazione dei reazionari di fine Ottocento davanti ai risultati elettorali; gridavano: la légalité nous tue, la legalità ci uccide». È questa una delle glosse trontiane al problema della rivoluzione che viene superata o, per meglio dire, «sussunta» in una nuova categoria che è l'«autonomia del politico».

Ora, se il nostro lettore si confrontasse con la biografia di Tronti potrebbe confondersi. Romano di Ostiense, padre comunista, laurea in filosofia alla Sapienza con Ugo Spirito e, soprattutto, innovatore della ricerca sul pensiero marxiano con Operai e capitale e, soprattutto, con la fondazione assieme a Raniero Panzieri dei Quaderni Rossi. Insomma, cosa c'entra il garantismo con il curriculum di questo preclaro docente dell'Università di Siena?

È un percorso difficile da ricostruire se si pensa che il pensiero di Tronti ispirò Toni Negri, motivandolo a fondare la rivista Potere Operaio da cui poi si originò l'omonimo movimento politico nel quale militarono Franco Piperno, Oreste Scalzone e poi Valerio Morucci. Ebbene, la ricerca trontiana era iniziata con una rilettura più autentica di Marx a partire dai Grundrisse nei quali il filosofo tedesco iniziò a delineare la correlazione tra rapporti di produzione e forma dello Stato. Dunque, per la prima volta, si apriva alla filosofia e al pensiero politico la possibilità di un'analisi «dal basso» della condizione operaia e della liberazione dello stesso «operaio-massa» dal dominio del capitale che, in quest'ottica, lo trasforma in merce.

Ma se per Toni Negri e i suoi estimatori (come Gilles Deleuze e Félix Guattari) questa analisi doveva necessariamente sintetizzarsi nella «sovversione» le cui modalità possono giustificare anche forme estreme di lotta, Tronti si sganciò preventivamente da queste derive elaborando proprio il concetto di «autonomia del politico». È la politica che deve recepire le indicazioni e creare un luogo per il raggiungimento degli obiettivi «proletari».

Tronti criticò Negri e i sessantottini («Non era il rosso dell'alba, bensì quello del tramonto»). Non gli piacevano né il «campo largo del Pd» né Conte.

D'altronde, Giuseppi ed Elly assomigliano più a Toni che a lui.

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