Quel paragone senza senso: non è un'altra Tangentopoli

È possibile che Giuseppe Conte faccia politica da troppo poco tempo e non sappia che paventare una "nuova Tangentopoli" sia una strategia tentata da molti prima di lui

Quel paragone senza senso: non è un'altra Tangentopoli
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È possibile che Giuseppe Conte faccia politica da troppo poco tempo e non sappia che paventare una «nuova Tangentopoli» sia una strategia tentata da molti prima di lui: basta cliccare «nuova tangentopoli» su Google per essersi sommersi da falsi allarmi dolosamente lanciati dal 1992 a oggi. E se è vero che da Mani pulite sono passati 32 anni e che molti non ricordano o non c'erano (oppure ci hanno capito poco, trattandosi di grillini) la memoria potrebbe comunque correre alle tanti rondini che non hanno fatto primavera, ma Conte, oggi, non sente ragioni: «Si stanno creando le condizioni per una nuova diffusa Tangentopoli», ha ripetuto in un'intervista alla Stampa che fa evidentemente parte di una strategia. Perciò ha parlato di «evidenti segnali di compenetrazione tra politica e affari» e del rischio che la classe politica se la prenda con la magistratura: forse col concorso di tanti italiani, essendo la fiducia nei giudici al livello più basso della sua storia.

Le ragioni per cui una tangentopoli non può più esistere sono parecchie. Oggi si discute se in Liguria possa chiamarsi corruzione (e solo corruzione: non concussione, non estorsione) un libero finanziamento dichiarato e iscritto a bilancio: Tangentopoli invece era un sistema-Paese in cui il finanziamento illegale della politica era degenerato a Milano come nel resto del Paese. Nella capitale morale ogni appalto doveva sovvenzionare la politica in quote prestabilite, e le imprese a loro volta potevano prestabilire i vincitori delle varie gare in barba al libero mercato, formando così un «cartello» che escludeva altra concorrenza e falsava i costi. Quel sistema, che non esiste più, legava le grandi imprese di Stato, i grandi enti e i grandi partiti ad altrettante grandi aziende di riferimento, private e anche straniere, organizzate in cartelli o in cooperative che facevano fondi neri e bilanci falsi. È un sistema che era divenuto avido, giganteggiava rispetto alle ragioni per cui era nato: l'Iri e l'Eni si erano allargate a settori in crisi di secondaria importanza, e non è chiaro come avrebbero retto alla sfida europea, ma facevano lavorare imprese private, settori pubblici e soprattutto molta gente. È un sistema che considerava i pagamenti alla politica come un passaggio obbligato e che, dopo la dissoluzione del «capitalismo senza mercato», non ha lasciato né un capitalismo né un mercato. Poi c'era un sistema periferico legato alle realtapolitiche locali (regioni, province, comuni) che in chiave ristretta replicava il sistema illegale centralizzato. Questo sistema prevedeva che una parte dei soldi fosse mandata a Roma (sede dei partiti) e che un'altra fosse trattenuta per esigenze correnti, spesso impigliandosi nelle tasche di qualche mediatore, raccattatore di tessere o, per dirla coi grillini, ladro. Parte di questo sistema potrebbe essere sopravvissuto, ma solo a infimi livelli: può essere vero che la selezione giudiziaria abbia migliorato la specie predata, per dirla con il linguaggio dei magistrati; ma epiu probabile che nella catena alimentare siano subentrati dei ladri di polli che tuttavia, anche a un livello come quello regionale, non possono certo giganteggiare. In qualsiasi caso, visto che il discorso è ripartito dal caso di Giovanni Toti, non c'è un euro che il presidente della Liguria abbia nascosto: erano finanziamenti che lui ritiene leciti e che sinceramente ne hanno tutta l'apparenza.

Una cosa è certa: è impensabile che le forze e i movimenti politici di oggi, destrutturati sotto ogni profilo, conducano dei giochi che dietro le quinte celino complicita e spartizione di affari. Anche la nuova specie periferica, tipo le regioni, non manda piunulla a Roma; a essere finanziato equalche campagna elettorale o, in caso di reati da appurare, il tenore di vita personale di qualche profittatore.

Fare politica costa: con poche eccezioni. Lasciando da parte i candidati decisamente celebri o benestanti (tra quelli eletti) non ha problemi solo chi figura in liste bloccate in cui le preferenze degli elettori non hanno ruolo.

Quindi, insomma, a finanziamenti alla luce del sole (leciti, riteniamo) o a dazioni ambientali da retrobottega (illecite, e infatti qualche sorcio viene beccato) negli ultimi lustri hanno avuto spazio solo grandi corruzioni finanziarie legate a un'economia che da tempo ha abbattuto il primato della politica: fanno testo gli scandali Parmalat, Cirio, scalata di Antonveneta, Unipol, Bnl, maxi speculazioni immobiliari e cosivia. I soldi veri erano e sono lì, nella finanza e tra gli imprenditori. Senza i loro finanziamenti, oltre al convento della politica (sempre ufficialmente povero) restano poveri anche i frati.

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