Cronache

La passione per i viaggi e il feeling coi lettori. Un narratore esemplare

Il primo scoop: un'intervista a Ingrid Bergman. L'impegno in politica e l'attenzione alla gente

La passione per i viaggi e il feeling coi lettori. Un narratore esemplare

Gli aneddoti, le storie, i racconti. E allo stesso tempo la sottile capacità di analisi, in grado di cogliere subito il punto essenziale di ogni questione. Come tutti (o quasi tutti) i grandi giornalisti Livio Caputo aveva una capacità affabulatoria affinata negli anni e trasformata in virtuosismo. Lui ci scherzava e diceva che la scuola più impegnativa non era stato il giornalismo ma la politica, e che la sua università era stata la campagna elettorale del 1994. Catapultato nel collegio di Bergamo come candidato al Senato di Forza Italia, aveva deciso di battere a tappeto la provincia parlando di fronte a ogni tipo di pubblico, ogni volta che ne aveva la possibilità. Dopo quella maratona oratoria, concludeva sorridendo, nulla più poteva spaventarlo.

Di questa dote, a differenza di molti altri, Caputo non abusava mai. La sua cifra non era il gigionismo, ma la raffinatezza intellettuale. Ed era per questo che i lettori, e noi colleghi, non ci stancavamo mai di ascoltarlo durante i molti viaggi del Giornale che fino all'arrivo del Covid lo hanno visto protagonista.

Non sempre si parlava di cose impegnative e «serie». Uno dei suoi aneddoti preferiti riguardava una lunga gita in barca al largo di un'isoletta svedese nei primi anni '50. Giovane praticante al settimanale Gente, ma già uomo di mondo, in grado di districarsi tra lingue e circostanze complicate, aveva ricevuto da Edilio Rusconi in persona un incarico delicato: andare a «scovare» la coppia clandestina del momento, Ingrid Bergman e Roberto Rossellini.

I due erano partiti per una vacanza in Svezia, ma non si sapeva esattamente dove. Una volta sul posto Caputo aveva scoperto che gli innamorati si erano rifugiati su un'isola inaccessibile, poco più che uno scoglio lontano dalla costa. Da un pescatore si era fatto prestare una barca a remi, l'unica disponibile, e dopo una lunga vogata aveva raggiunto la riva del «buen ritiro» della Bergman, che divertita dalla sfrontatezza del ragazzo italiano, aveva finito per concordare un colloquio e qualche foto.

Missione giornalistica compiuta. E del resto il giornalismo Livio l'ha respirato in casa: suo padre Massimo era stato direttore della Gazzetta del Popolo di Torino e «principe» tra quei corrispondenti esteri, quasi dei diplomatici, che avevano fatto la grandezza del vecchio Corriere.

Insieme al giornalismo Caputo ha respirato anche la capacità di trovarsi a proprio agio in ogni angolo del mondo. E non c'era angolo del mondo di cui lui non conoscesse vita morte e miracoli. Non più di 3 o 4 anni fa, in una Danzica post-moderna e dall'aspetto ormai quasi scandinavo aveva evocato per i lettori del Giornale, la città buia e grigia dei suoi resoconti degli anni Ottanta, assediata dalla polizia politica e paralizzata dagli scioperi di un sindacato illegale guidato da uno sconosciuto elettricista di nome Lech Walesa.

In Vietnam, invece, aveva voluto rivedere l'albergo in cui aveva soggiornato ai tempi della guerra contro i Vietcong. Era stato, quel conflitto, uno dei terreni di rivalità tra Caputo e la già famosa Oriana Fallaci. Lui inviato di Epoca, lei dell'Europeo. Erano i più noti e prestigiosi settimanali di quegli anni, la gara era accanita e senza quartiere. Senza vanagloria e anzi con simpatia, l'aveva raccontato in prima persona l'interessato (lo si legge nell'articolo più in basso).

Era il mondo la sua vera passione. Perfino negli angoli più dimenticati: parlava volentieri di Africa e in particolare di Sudafrica, a cui era legato in modo particolare visto che una figlia viveva nel paese da anni. Quando era stato nominato Sottosegretario agli Esteri, sembrò, per una volta, che la persona giusta fosse finita al posto giusto. Ma alla fine più che la politica ha potuto il giornalismo. E dopo una lunga militanza nel consiglio comunale di Milano, Caputo, senza rimpianti è tornato alla parola scritta. Senza abbandonare, (e sembra un gioco di parole) la politica vera, visto che agli ideali di un liberalismo classico, quasi anglosassone, quasi d'altri tempi, è rimasto sempre fedele.

L'espressione, di altri tempi, è corretta e ugualmente infedele. Nonostante il suo amore per i vecchi racconti e gli episodi di un giornalismo lontano, Caputo non era uno di quelli che amano guardarsi indietro. La sua curiosità lo portava a immaginare il futuro. E ogni visita di un collega era l'occasione per fare domande.

Naturalmente su qualche nuova storia da seguire e raccontare.

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