Il Pd scarica Zingaretti e come "buonuscita" gli offre il Campidoglio

Pressioni per farlo lasciare dopo le Regionali e accettare la candidatura a sindaco di Roma

Il Pd scarica Zingaretti e come "buonuscita" gli offre il Campidoglio

Una poltrona per due. Meglio ancora, al posto di due. Il Pd che conta davvero sta cercando in maniera piuttosto insistente di far accettare al segretario Nicola Zingaretti una poltrona (a candidato sindaco della Capitale) al posto di due (abbandonando s'intende quella di segretario del Partito democratico e presidente della Regione Lazio). Una soluzione rapida per frenare così la fuga in avanti di Zingaretti che vorrebbe a tutti costi andare a fare il ministro dell'Interno in un'ipotesi di rimpasto di governo post regionali. Purtroppo per lui però la componente maggioritaria del partito, a Palazzo Chigi, non ce lo vuole. Certo l'insistenza sulla strada da intraprendere, l'indomani del voto, dipenderà da quanto e da come i dem perderanno questa tornata elettorale. E in capo a questo scenario non v'è incertezza sul fatto che Zingaretti non voglia più stare in Regione Lazio. Invece dal partito arrivano segnali forti sul fatto che l'istituzione può essere lasciata solo in modo pressoché indolore e non abbandonata, ipso facto, per un posto a Palazzo Chigi. Una scelta che per Area dem, la componente preponderante che fa capo a Dario Franceschini, sarebbe tanto sbagliata da comportare un voto regionale nel Lazio subito dopo l'inverno con un rischio palese di sconfitta. Un'altra appunto. E Franceschini non la manderebbe giù di certo, specialmente dopo una vita a fare l'eterno secondo, a rattoppare e ricucire rapporti sfilacciati con centrodestra, centrosinistra e Colle. Diversamente in primavera un election day su Campidoglio-Regione potrebbe essere proficuo per l'unicità degli obiettivi di propaganda. Qui certo i Dem sono maestri nello sfidare anche i più abili candidati avendo peraltro dalla loro una sfilza di futuri fuoriusciti dal Movimento Cinquestelle con i quali già stanno stipulando accordi preelettorali. Certo l'ultima parola spetterà a Nicola Zingaretti e dipenderà pure da quanto, il costruttore di strategie Goffredo Bettini riuscirà caparbiamente a convincerlo: quella che al segretario Pd sembra un'imposizione distopica sarebbe l'unica strada per recuperare una carriera politica in evidente fuorigioco. Già. Perché l'aria che tira in Regione Lazio certo non è a lui favorevole. Dopo il caso dell'assessore alla Sanità D'Amato, suo fiduciario, sotto inchiesta della Corte dei conti per distrazione di fondi, quello precedente dell'acconto di 11 milioni di euro di mascherine pagate in anticipo e mai arrivate che si sta tramutando in un contenzioso senza precedenti, anche l'opposizione lancia il proprio j'accuse. La consigliera della Lega, Laura Corrotti, parla di illegittimità in merito al neo commissario dell'Istituto Jemolo che il governatore Zingaretti avrebbe nominato malgrado i rapporti reiterati nell'ambito legale negli ultimi sette anni. La legge prevede infatti che non possano essere conferiti incarichi dirigenziali a professionisti che abbiano avuto, negli ultimi due anni, rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con la realtà pubblica. Nicola Zingaretti dovrebbe conoscere bene la disposizione, se non lui direttamente il proprio staff di consulenti.

Vero è che il sindacato dei dirigenti pubblici interno alla Regione Lazio, il Direr, ha impugnato in questi anni parecchie nomine ratificate da Zingaretti, ottenendo la ragione al Consiglio di Stato. Che prossimamente si possa palesare un danno all'erario per il governo regionale non sarebbe certo da escludere.

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