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Populismo giudiziario sulla Kaili

Siamo tutti figli di Eva, ma la figlia effettiva di una Eva contemporanea, l'eurodeputato Kaili, usata come strumento di pressione per far confessare la madre, ci sembra che vada ben oltre anche la concezione non proprio garantista dell'Antico Testamento.

Populismo giudiziario sulla Kaili

Siamo tutti figli di Eva, ma la figlia effettiva di una Eva contemporanea, l'eurodeputato Kaili, usata come strumento di pressione per far confessare la madre, ci sembra che vada ben oltre anche la concezione non proprio garantista dell'Antico Testamento. Anzi, ci sembra proprio una barbarie. Già che i parlamentari possano essere arrestati e tenuti in carcere, senza che il Parlamento si sia espresso sulla loro immunità, è qualcosa che ci sembra abnorme, e per molto meno nel XVII secolo gli inglesi tagliarono la testa al loro re. E non perché i parlamentari siano dei privilegiati, come bercia la demagogia populista: ma perché essi rappresentano il popolo che li ha votati, e se un potere dello Stato, quello giudiziario, impedisce al legislativo di esprimersi, siamo fuori dall'ordinamento liberale. Ma che poi, secondo la denuncia del suo avvocato, a Kaili non solo non siano stati concessi gli arresti domiciliari (eppure non è accusata di omicidio o di terrorismo) ma che addirittura la figlia sia stata utilizzata come merce di scambio per farla parlare, ci fa accapponare la pelle. E anche la scena della bimba portata in carcere per vedere la madre, è qualcosa che rimanda a una idea di diritto che riporta ai momenti bui della storia. Anche perché, nel frattempo, si trova in carcere anche il padre, l'ex assistente di Panzeri, Giorgi.

Il metodo di utilizzare la carcerazione per far confessare era già stato condannato, nel 1774, dall'illuminista milanese Cesare Beccaria, il cui Dei delitti e delle pene non è solo, come spesso si legge, un trattato contro la pena capitale. Purtroppo nella storia, anche delle democrazie, tale pratica è stato utilizzata ma oggi è condannata esplicitamente da tutta la giurisprudenza. Fu però, per ammissione di diversi dei pm, un cavallo di battaglia del metodo «Mani pulite» che applicò alcune leggi eccezionali, introdotte nel nostro ordinamento per la lotta contro terrorismo e mafia. E meno male che gli indagati di allora erano prevalentemente maschi e in ogni caso di età piuttosto avanzata, senza figli piccolissimi. Credevamo o almeno speravamo che questi metodi non fossero più in uso, o che almeno fossero tipici della storia italiana, e che paesi con una storia meno tragica e complessa della nostra, non li utilizzassero. Invece pare non sia cosi. Il sospetto finale è che vi sia una sorta di accanimento, da parte dei magistrati, proprio perché a essere indagato è il mondo politico. E che la pressione mediatica faccia il resto. Ma abbiamo già visto cosa ha prodotto nel nostro paese il populismo giudiziario.

E non è il caso di esportarlo in Europa.

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