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Il pregiudizio razziale dei buonisti

Si chiamano atti di discriminazione razziale, punibili per altro dalla legge Mancino.

Il pregiudizio razziale dei buonisti

Si chiamano atti di discriminazione razziale, punibili per altro dalla legge Mancino. Tipo: penalizzare una categoria di persone per il sesso o il colore della pelle. Cose che accadono ancora, purtroppo; a volte in maniera strisciante, altre plateale. Ieri è successo sul Corriere della sera, in prima pagina, rubrica «Il caffè», firma: Massimo Gramellini, dunque la vetrina più bella del woke journalism in salsa Zan. Uno splendido esempio di come si voglia abbattere un pregiudizio razziale con un altro pregiudizio, sempre razziale. L'autore dell'articolo ha provato a giustificare la decisione della Raf, l'aviazione militare britannica, che si è imposta di assumere il 40% di donne e di neri, indipendente dalle capacità e dal valore, a scapito di piloti maschi, bianchi e bravi. Il ragionamento dell'articolo non è solo contorto - se vogliamo in futuro raggiungere l'uguaglianza del punto di partenza per tutti dobbiamo rinunciare ora a essere ugualitari, insomma meglio commettere un'ingiustizia oggi (cioè un atto razziale contro i bianchi) per realizzare una giustizia domani (cioè dare a tutti le stesse chance) - ma è anche terribilmente ideologico. Oltre che inconsapevolmente ironico: Gramellini per coerenza ora dovrebbe lasciare il posto di rubrichista e vicedirettore del Corriere a un giornalista meno bravo di lui e di tanti altri suoi colleghi, purché di colore, o donna, o entrambi, perché così nel volgere di un paio di generazioni le nuove leve di giornalisti avranno - forse - imparato a scrivere e le assunzioni al Corriere risponderanno a specchiati criteri di merito, senza più favorire maschi bianchi torinesi. Speriamo che il Cdr sia d'accordo. Sarà, ma l'idea di arruolare - in qualsiasi settore e professione - più donne e persone di colore finendo col bocciare i candidati di altro sesso o colore della pelle anche se più qualificati, non corrisponde precisamente alla nostra idea di progresso, né sociale né civile. Si potrebbe dire che l'articolo predicando la meritocrazia suggerisce che il metodo migliore sia selezionare per razza e genere sessuale (e chi lo firma è un giornalista razzista e sessista a sua insaputa). Si potrebbe obiettare che, secondo la stessa logica, è giusto mandare avanti chirurghi neri e donne anche se non bravissimi, così con un paio di decenni di macelleria operatoria conquisteremo una società che dà a tutti le stesse chance. O forse si può dire solo che l'eccesso di inclusività, come sempre, sfocia nel peggior fanatismo. Com'era la frase? «Se non vogliamo più il razzismo, serve più razzismo».

Ecco.

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