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La preoccupazione di Washington per la crisi italiana: "Clamoroso errore". Contatti con Roma

I timori Usa per il rischio che torni una linea politica più vicina alla Russia. Il consigliere Sullivan: "C’è grande stima per Draghi, seguiamo il caso"

La preoccupazione di Washington per la crisi italiana "Clamoroso errore". Contatti con Roma

Washington. Che non sia la solita crisi di governo italiana lo si capisce dal tono delle dichiarazioni ufficiali e di quelle ufficiose. Da Washington lo stop al governo Draghi, imposto dallo strappo politico voluto dai Cinque Stelle, viene monitorato con preoccupazione. Del resto, il momento non potrebbe essere peggiore, sia per lo scenario geopolitico, con la guerra in Ucraina, sia per quello economico, con l'inflazione fuori controllo e i venti di recessione che soffiano su Usa e Europa.

Certo, i rapporti tra Stati Uniti e Italia, a parte qualche recente sbandata filocinese e filorussa prima dell'arrivo dell'ex presidente della Bce a Palazzo Chigi, sono tradizionalmente solidi. «Gli Usa e l'Italia sono stretti alleati e continueremo a lavorare insieme fianco a fianco su una serie di importanti priorità, compreso il sostegno all'Ucraina contro l'aggressione russa», ha commentato in un primo momento la Casa Bianca.

Poi, sulla scia degli allarmati editoriali dei principali media Usa, come il New York Times, che parla di una «crisi di governo inaspettata» che rischia di creare una «potenziale calamità per l'Europa», il tono è cambiato. Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza nazionale al seguito di Joe Biden nella sua missione in Medio Oriente, ha voluto far sapere che il presidente Usa ha «grande rispetto e considerazione» per Mario Draghi e sta «seguendo con attenzione tutti gli sviluppi politici a Roma».

Un'uscita irrituale, per un'amministrazione molto attenta a non interferire nelle vicende politiche degli alleati (nemmeno per la caduta di Boris Johnson ci si è spinti a tanto), a conferma della serietà della situazione. Qualcosa tra la prima dichiarazione, tutto sommato di routine, della Casa Bianca e le parole di Sullivan, deve essere successo. Forse, uno scambio di vedute ai massimi livelli tra Washington e Roma, forse una lettura più attenta (e preoccupata) dei segnali politici che giungevano dall'Italia.

Paradossalmente, la crisi si consumava proprio nelle ore in cui il ministro della Difesa Lorenzo Guerini era in visita al Pentagono dal collega americano Lloyd Austin, che definiva l'Italia «il partner più affidabile degli Stati Uniti nella Nato». Parole non scontate, in un contesto di guerra, alle quali Guerini ha replicato confermando che da parte italiana il sostegno militare a Kiev andrà avanti «finché necessario».

Insomma è bastata una notte per passare dal «business as usual» all'«attenzione». Dai circoli dei think tank di Washington, i «pensatoi» le cui idee informano direttamente la politica dell'amministrazione, orientandone le scelte, non hanno difficoltà a fotografare le «due Italie» che si stanno combattendo davanti alla crisi Ucraina.

«C'è l'Italia della responsabilità», come la definisce un analista molto ascoltato a Washington, che preferisce restare anonimo, rappresentata da Draghi, dal presidente Mattarella, dai ministri Guerini, Di Maio e Giorgetti, ben consapevole che l'eventuale venire meno alle responsabilità transatlantiche del Paese rappresenterebbe un «clamoroso errore geopolitico» e nuocerebbe allo status italiano. Senza contare l'«obbligo morale» che l'Occidente ha assunto nei confronti di Kiev di fronte all'invasione russa.

Poi c'è l'altra Italia, quella dei «tatticismi esasperati», pronta a tutto per «guadagnare qualche decimale di consenso in vista delle prossime elezioni». Un gioco già visto in questi ultimi anni (e negli ultimi mesi) al quale Draghi, agli occhi dell'amministrazione Usa, aveva imposto uno stop. Ora, a Washington si ricorda con preoccupazione la rivelazione dell'ex capo di Stato Maggiore, il generale Graziano, che parlò di un ministro del governo populista giallo-verde che propose «l'equidistanza tra la Nato e la Russia».

Impensabile, per gli Usa, in questo contesto, un ritorno a quelle pulsioni da parte del «partner più affidabile». Nel frattempo, Mosca, dopo la caduta del premier britannico Johnson, incassa un altro punto. Ufficialmente, per il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, le dimissioni di Draghi sono «affari interni», sui quali «non interferiamo in alcun modo».

Ma al Cremlino l'uscita di scena dell'ex presidente della Bce sarebbe salutata come un successo insperato.

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