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Intercettazioni, da Prodi a D'Alema: quando la sinistra parlava di scandalo

Persino Napolitano sentenziò: "Così si viola lo stato di diritto"

Da Prodi a D'Alema. Quando la sinistra parlava di scandalo: "Inaccettabile gogna mediatica"

C'è un esercito di marziani che sembra atterrato da pochi giorni sul suolo italiano e che va in giro sbraitando, strabuzzando gli occhi o fingendosi ignaro al solo sentire la frase: «Limitare le intercettazioni». Sono esemplari politici le cui principali peculiarità sono l'assenza di memoria a lungo termine e l'ipocrisia. Il centrodestra affronta il nodo gordiano dell'abuso delle intercettazioni e loro gridano allo scandalo. I più furbi se ne stanno in un angolo, zitti e buoni. I più temerari tratteggiano scenari apocalittici in cui il paese diventerebbe presto un paradiso fiscale per delinquenti di ogni sorta. Ma la verità è che quando l'onda anomala delle intercettazioni ha colpito esponenti di sinistra l'esercito di marziani non ha perso tempo ad attaccare la magistratura, i giornalisti e il sistema legislativo.

L'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel maggio 2017, fotografava così la situazione: «Tutti adesso gridano contro l'abuso delle intercettazioni e l'abuso della pubblicazione. Un'ipocrisia paurosa perché è una questione aperta da anni () Io personalmente ho messo il dito in questa piaga e non c'è mai stata una manifestazione di volontà politica per concordare provvedimenti che avessero messo termine a questa insopportabile violazione della libertà dei cittadini, dello stato di diritto e degli equilibri istituzionali».

Insomma, nessuno si è mai voluto sporcare le mani preferendo aspettare che passasse la piena del fiume. E se era lui quello colpito dalla piena partiva l'invettiva. Anche a sinistra. Qualche esempio? Massimo D'Alema, nel marzo 2015, dopo essere finito da non indagato tra i brogliacci della procura di Napoli tuonò: «Una vicenda scandalosa. Incredibile diffondere intercettazioni che nulla hanno a che vedere con l'indagine. Lancio un allarme. Chi non ha ruoli istituzionali e non è indiziato di reato non può essere perseguitato in questo modo al solo scopo di ferirne l'onorabilità».

Nel 2008 Luciano Violante sentenziò: «Dovremmo essere capaci di individuare il magistrato, il cancelliere o il maresciallo che passa i verbali al giornalista. Fa bene la magistratura a segnalare i rischi della proposta del presidente del Consiglio. Ma la stessa magistratura dovrebbe interrogarsi sull'inaccettabile impunità di chi viola questo tipo di segreto».

Nel 2017, riferendosi all'inchiesta Consip e all'intercettazione della telefonata di Renzi col padre Tiziano, l'allora presidente Pd Orfini non aveva dubbi: «Credo sia un errore parlare di gogna mediatica, perché qui c'è qualcosa di più profondo dell'aggressione al Pd e al suo segretario. Qui c'è qualcosa che riguarda il funzionamento della democrazia italiana e che dovrebbe allarmare tutti quanti. Un attacco alla democrazia». Stessa teoria espressa da Romano Prodi nel 2015: «Le intercettazioni? Funzionano come un orologio svizzero. Vengono diffuse alla bisogna. Usate un giorno per far saltare un governo, un giorno per creare una carriera, un giorno per distruggerla. Un giorno per demolire un'alleanza, un giorno per costruirla».

Non poteva mancare poi Pier Luigi Bersani che nel 2013 dichiarò: «Non vogliamo i bavagli ma è necessario un luogo e una persona responsabile di buttare via ciò che non serve in nome della privacy e della tutela della dignità della persona». Al coro si unì anche Roberto Speranza che nel 2015 al Corsera spiegò: «È evidente e oggettivo l'abuso mediatico delle intercettazioni, a cui bisogna porre rimedio accelerando la riforma.

Non si può più assistere impotenti a questo gioco al massacro».

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