«Siamo rimasti l'ultima organizzazione indipendente di un certo peso. E adesso tocca a noi, gli spazi di libertà si fanno sempre più stretti». Irina Sherbatova, 71 anni, studiosa dello stalinismo, dirige il Centro di storia orale di Memorial. Negli anni Ottanta, assieme al Premo Nobel per la Pace Andrei Sacharov, fu tra i fondatori dell'associazione nata a Mosca «per perpetuare la memoria delle vittime delle repressioni». Allora combatteva il comunismo, oggi gli avversari sono altri.
Un paio di giorni fa l'ufficio della Procura di Mosca ha notificato di aver chiesto lo scioglimento dell'organizzazione. Due i principali capi di accusa: violazione delle norme che regolano la qualifica di «agente straniero», da tempo attribuita all'associazione, e diffusione di materiale che contiene, come scrivono i procuratori, «segni linguistici e psicologici di giustificazione di attività terroristiche ed estremiste». L'udienza di fronte alla Corte Suprema è fissata per il 23 novembre. «Cercheremo di difenderci con tutti i mezzi, ma sappiamo come funziona la giustizia nel nostro Paese e sappiamo che si tratta di un'azione pianificata a tavolino», dice Irina Sherbatova.
La sera del 14 ottobre, mentre era in corso la proiezione di un documentario sull'Holodomor, il genocidio per fame voluto da Stalin in Ucraina, la sede moscovita di Memorial è stata presa d'assalto da una quarantina di picchiatori mascherati, accompagnati dalla troupe di un canale televisivo statale. Urlando «fascisti» e «propaganda» i teppisti hanno chiuso nei locali gli spettatori, liberati dalla polizia solo la mattina dopo. Il 29 ottobre, per la prima volta, il comune di Mosca ha negato l'autorizzazione alla consueta cerimonia nella piazza della Lubianka, dove aveva e ha sede la polizia segreta (Kgb ieri e Fsb oggi), per commemorare i morti nei Gulag. Il rito si ripeteva ogni anno di fronte alla pietra Solovetsky, un blocco di roccia prelevato dall'area del Gulag di Solovki, e trasformato in monumento nel 1990. A causa del Covid nemmeno una presenza simbolica era ammissibile, hanno detto le autorità.
«Diamo fastidio perchè siamo indipendenti e perchè ci occupiamo di diritti umani», dice Irina Sherbatova. Le aree di azione di Memorial sono due: da un lato c'è la ricerca storica sulle persecuzioni comuniste e sui Gulag; dall'altro il monitoraggio sulle violazioni dello stato di diritto. L'associazione cura, tra l'altro, un registro dei prigionieri in carcere per motivi politici. Quelli ufficialmente censiti sono oggi 410, il doppio, dice Memorial, che negli ultimi anni del comunismo, quando erano 200.
Il
detenuto più celebre è l'oppositore Alexey Navalny, Ma non passa giorno senza notizie di arresti o condanne. Un segno evidente, scrive l'ultimo numero dell'Economist, che il Cremlino «è passato dall'autocrazia alla dittatura».
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