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Quei governatori alla gogna vittime di indagini elettorali

Da Fontana a Solinas, da De Luca a Pittella e Oliverio molti i leader nel mirino delle procure poco prima del voto

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L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Delle procure. Instancabili e soprattutto puntualissime. Nel corso degli anni hanno infoltito l'esercito degli indagati a ridosso delle elezioni: europee, politiche, regionali o amministrative. Poco cambia, il ticchettio dell'orologio è sempre lo stesso. Notifiche di avvisi di garanzia come spade di Damocle, misure cautelari eseguite a distanza di tanto, troppo, tempo rispetto a quando erano state richieste, proscioglimenti o assoluzioni che arrivano quando ormai la corsa elettorale o la carriera politica sono state già azzoppate. Dicono che il tempo sia galantuomo, ma la verità di un adagio popolare non ha poteri risarcitori.

Il caso di Giovanni Toti è solo l'ultimo di una lunga scia di casi. Da Michele Emiliano a Donato Toma, da Luciano D'Alfonso a Stefano Bonaccini: basti pensare che nel nostro Paese praticamente non c'è una regione che non abbia avuto un governatore finito nelle maglie della giustizia. Come non ricordare la vicenda dell'ex presidente della Sardegna Christian Solinas, indagato per corruzione a poco più di un mese dalle elezioni o quella del leghista Attilio Fontana accusato di abuso d'ufficio a soli venti giorni dal voto.

Ma nel calderone sono finiti anche esponenti di sinistra come Vincenzo De Luca, la cui notizia dell'indagine nei suoi confronti uscì a pochi giorni dalla tornata elettorale del settembre 2020 nonostante l'indagine fosse in corso da tre anni. O come Marcello Pittella, ex governatore della Basilicata, finito ai domiciliari con l'accusa di falso e abuso d'ufficio per una presunta Sanitopoli lucana per evitare il rischio di reiterazione dei reati, vista l'intenzione di ricandidarsi alla guida della Regione. Anche lui assolto dopo una gogna durata tre anni. C'è poi l'ex governatore della Calabria, Mario Oliverio, indagato più volte e sempre assolto ma la cui ricandidatura nel 2018 fu di fatto bloccata.

Ma la mannaia delle toghe colpisce anche a livello locale. Ne sa qualcosa la sindaca di Fratelli d'Italia di Terracina Roberta Tintari finita ai domiciliari, arrestata nel 2022 a distanza di due anni dalla richiesta «urgente» del pubblico ministero. Stessa sorte per Francesco Lombardo, candidato Fdi in lizza come consigliere comunale a Palermo finito in manette a pochi giorni dalle elezioni con l'accusa di scambio elettorale politico-mafioso, arresto annullato pochi giorni dopo. O ancora Luigi Riserbato che, nel pieno del suo mandato di sindaco di Trani, fu investito da un mandato di arresto per associazione a delinquere, tentata truffa e altri reati. 45 giorni di domiciliari, con conseguenti dimissioni; scioglimento della giunta di centrodestra e nuove elezioni, vinte dalla fazione politica opposta. Poi, dopo otto anni l'assoluzione da tutti i capi d'accusa perché il fatto non sussiste.

Come non citare poi il caso del guru social di Salvini, Luca Morisi, finito nel mirino della Procura di Verona a pochi giorni dall'appuntamento alle urne. L'indagine? Archiviata «per particolare tenuità del fatto». O ancora, l'inchiesta mediatico-giudiziaria sull'eurodeputato Carlo Fidanza, archiviata per «insussistenza delle ipotesi di reato».

Insomma, di sicuro c'è solo che la lista è in continuo aggiornamento.

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