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Napolitano, una vita di contraddizioni: dai giovani fascisti al Pci

Record e giravolte del politico che ha segnato la nostra Repubblica: primo comunista negli Usa, al Viminale e al Quirinale, dove restò per nove anni grazie alla storica riconferma. Quando i pm intercettarono i suoi colloqui

Napolitano, una vita di contraddizioni: dai giovani fascisti al Pci

Dieci anni di monarchia assoluta. Dieci anni lunghi, intensi, eccessivi. Poi sfinito, a gennaio 2015, King George aveva lasciato il trono, ma solo perché proprio non ce la faceva più. «Ho toccato con mano come l'età comporti crescenti limitazioni - aveva spiegato a Capodanno, pochi giorni prima dell'abdicazione - e non si possono sottovalutare i segni dell'affaticamento». Altrimenti, potete starne certi, sarebbe rimasto ancora là per tutto il secondo mandato a comandare le operazioni, a fare e disfare governi, a organizzare ribaltoni, forse a morire sul campo e non tanti anni più tardi in un letto d'ospedale. E anche dopo, fuori dalla reggia non si è certo comportato come un sovrano emerito, anzi per un bel po' si è fatto sentire: i discorsi a Palazzo Madama, le scudisciare al suo Pd, i consigli a Sergio Mattarella per risolvere le crisi. Altro che pensionato.

Molto odiato, anche molto amato, sicuramente molto contrastato. Quando fu eletto, nel 2006, la maggioranza degli italiani non ne era certo entusiasta. Quando fu confermato, nel 2013, la sua popolarità era schizzata all'85 per cento. Quando si dimise, era crollata al 39. Del resto quella di Giorgio Napolitano non è stata una presidenza leggera, neutra, notarile, ma sempre al limite e talvolta debordante. Come banale non è stata la sua intera vita pubblica.

Primo membro del comitato centrale del Pci ad ottenere un visto per l'America. Primo dirigente politico di livello a sopravvivere al passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Primo comunista ad arrivare al Quirinale. Primo capo di Stato ad essere rieletto per un secondo mandato. Primo presidente in carica a dover subire un interrogatorio dai pm: successe all'epoca del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. E il suo primo viaggio all'estero nel 2006 fu il pellegrinaggio-espiazione a Budapest, dove si inchinò sulla tomba di Imre Nagy: nel 1956, mezzo secolo prima, si era schierato a favore dell'invasione sovietica dell'Ungheria. Ora chiedeva scusa.

Giorgio Napolitano era nato a Napoli il 29 giugno 1925. Figlio di un avvocato della buona borghesia, studi classici, giurisprudenza alla Federico II, una passione per la letteratura e il teatro che gli è rimasta sempre. Da ragazzo aveva recitato da protagonista in Viaggio a Cardiff, di William Butler Yeats. Tanti anni dopo, nel 1994, sotto lo pseudonimo di Tommaso Pignatelli, scrisse una raccolta di sonetti, Pe' cupia' o chiarfo, per copiare l'acquazzone, apprezzata da Natalia Ginsburg. Elegante, sobrio, parlava un inglese perfetto: nel Pci, anche per le sue posizioni «di destra», lo chiamavano l'amerikano. Oppure re Umberto: erano quasi identici.

E «di destra» lo è stato davvero, quando all'università si era iscritto al Guf. Poi nel 1944 cominciò a frequentare il gruppo di comunisti napoletani e l'anno dopo entro nel Pci. Deputato dal 1953, allievo di Giovanni Amendola, diventò presto uno degli esponenti di maggior peso dell'ala moderata e riformista, i miglioristi, che più tardi si avvicinarono alla socialdemocrazia e alla Ostpolitik di Willy Brandt. Negli anni settanta svolse una notevole attività all'estero, tenendo conferenze in Gran Bretagna, Germania e Usa.

Doveva diventare segretario nel 1983, alla morte di Enrico Berlinguer. Era scritto, scontato, invece gli fu preferito il più grigio e ortodosso Alessandro Natta. Nel 1991, nel mezzo della guerra del Golfo, da europarlamentare e ministro degli Esteri ombra ruppe una specie di tabù, organizzando uno storico viaggio in Israele e riportando le posizioni di Botteghe Oscure verso una maggiore attenzione alle istanze della comunità ebraica. Nel 1992 venne eletto presidente della Camera. L'anno successivo, in piena Tangentopoli, fece cacciare via un ufficiale della Guardia di finanza che si era presentato a Montecitorio sventolando un ordine di esibizione dei bilanci dei partiti, firmato da Gherardo Colombo. Però pretese che le autorizzazioni a procedere contro Bettino Craxi fossero votate a scrutinio palese.

Nel 1996 Romano Prodi lo scelse come ministro degli Interni: sua, insieme alla Turco, la prima legge sul controllo dell'immigrazione, contestata all'epoca da sinistra perché considerata troppo dura. Dopo la caduta del governo del Professore, tornò al Parlamento europeo, finché Ciampi non lo nominò senatore a vita. Il dieci maggio 2006, al quarto scrutinio, superando la candidatura di Massimo D'Alema, venne eletto undicesimo presidente della Repubblica italiana. Un margine stretto, 543 voti. Iniziò il settennato mandando Prodi a Palazzo Chigi, omaggiando Nagy, concedendo la grazia a Bompressi e volando a Berlino per la finale dei mondiali di calcio Italia-Francia. Due anni dopo Silvio Berlusconi rivinse le elezioni e per Napolitano si aprì un difficile periodo di coabitazione. Seguendo le orme di Ciampi, re Giorgio cercava di limitare il Cav con la moral suasion con successi alterni. Criticato da destra perché cercava di frenare le leggi più discusse, criticato pure da sinistra perché non si opponeva abbastanza e quei provvedimenti, dopo tanti tira e molla, alla fine li controfirmava.

Si andò avanti così fino al 2011, quando Berlusconi, indebolito da alcune defenzioni nella maggioranza, malvisto da Francia e Germania e sotto pressione per lo spread schizzato a livelli record, fu fortemente convinto a passare la mano a Mario Monti, che nel frattempo King George aveva prontamente nominato senatore a vita. Regista dell'operazione, voluta da Bruxelles e ritenuta un golpe da Forza Italia, Napolitano. Monti e i suoi tecnici governarono un annetto, con il sostegno di quasi tutti i partiti. Nel 2013 nuove elezioni con la vittoria dimezzata del Pd, che ottenne la maggioranza solo alla Camera. Il capo dello Stato diede l'incarico a Pierluigi Bersani, che cercò nei Cinque stelle i numeri mancanti e ottenne solamente un umiliante e inconcludente confronto in streaming con i grillini. Il sistema si bloccò.

Nel frattempo stava scadendo anche il primo settennato. Senza governo, senza un accordo, senza un nome per la presidenza: ecco avverarsi il temuto ingorgo istituzionale, ecco la processione di leader sul Colle per chiedere a Napolitano di concedere il bis. Il 20 aprile 2013, stavolta con 738 voti, nacque il Giorgio II. Tre giorni più tardi, dopo un discorso di fuoco di Napolitano alle Camere, Enrico Letta si insediò a Palazzo Chigi a capo di un esecutivo di unità nazionale con lo scopo di fare le riforme.

Ma in autunno la condanna di Berlusconi e la sua incandidabilità provocò l'uscita del centrodestra dalla coalizione. Letta tirò avanti per un po', finché il Quirinale non lo sostituì con l'astro nascente Matteo Renzi. Per Napolitano ancora un paio d'anni, fino alle dimissioni nel 2015. Una lunga monarchia condizionata dalla crisi economica e dal vuoto di potere della politica, che il Re della Repubblica ha riempito, segnata pure da ruvidi scontri tra Colle e magistratura, fatta di tanti rimproveri ai giudici «protagonisti», culminata con l'intercettazione «casuale» di un colloquio tra il presidente e Nicola Mancino e il conflitto di attribuzione con la procura di Palermo. I dieci anni di Re Giorgio.

Troppi, secondo i suoi critici.

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