Coronavirus

La rivolta dei virologi sul bavaglio grillino "Una censura fascista"

L'ex M5s Trizzino: "In tv solo se autorizzati" Bassetti: "Ridicolo". Crisanti: "Corea del Nord"

La rivolta dei virologi sul bavaglio grillino "Una censura fascista"

I virologi gridano alla censura. I volti più celebri dell'era della pandemia, da Bassetti a Galli, da Crisanti a Pregliasco, ormai ospiti fissi dei programmi televisivi, sono in rivolta di fronte a un ordine del giorno accolto dal governo che prevede un'autorizzazione prima di poter parlare a giornali e tv. Il caso scoppia quando in Aula passa il testo firmato dal deputato Giorgio Trizzino - laurea in Medicina, ex M5s e oggi nel Misto -: prevede che i professionisti sanitari possano fornire «informazioni relative alle disposizioni sulla gestione dell'emergenza sanitaria in corso, tramite qualunque mezzo di comunicazione, previa esplicita autorizzazione della propria struttura sanitaria». Un modo per evitare, si legge, «di diffondere notizie o informazioni lesive per il sistema sanitario e per la salute dei cittadini.

A stretto giro è una valanga. Protestano all'unisono virologi e infettivologi: «È un bavaglio». Furibondo Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive de Policlinico San Martino di Genova: «Non si può mettere un bavaglio a medici e professori universitari che parlano di come evolve una malattia infettiva come il Covid perché fino a prova contraria siamo in uno Stato democratico. Limitare la libertà di parlare sarebbe gravissimo, scandaloso, questo è fascismo. Sarebbe una norma che rasenta la stupidità, il ridicolo». Aggiunge che «se il governo dovesse fare questo passo saremmo l'unico Paese al mondo che limita il pensiero di professori universitari. Quindi non posso neanche scrivere un libro sul virus? O rilasciare un'intervista a un giornale? Rischiamo di scadere profondamente». E rilancia: «Si faccia una proposta di legge per i politici che vanno a parlare in tv di Covid e medicina senza saperne niente, si stabilisca che dovrebbero studiare prima di parlare».

Di fronte all'ipotesi di autorizzazioni da parte delle aziende ospedaliere, anche Massimo Galli si indigna: «Certo ci sono persone che dicono assolute sciocchezze, altri che dicono e poi disdicono, e ci sono anche professionisti che spiegano le cose come stanno. Ma in questo caso siamo al grottesco: impedire ai medici di esprimersi è come dire che un avvocato non può discutere di argomenti giuridici in tv e sui giornali o un ingegnere di argomenti tecnici». È una «buffonata» secondo Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell'università di Padova: «Credo che l'idea gli sia venuta dopo una visita in Corea del Nord. Forse non sa che non si possano fare le leggi ad personam o per categorie. Io posso pure capire che magari si è esagerato. Ma se si è esagerato, come in tutte le cose, è un problema di rapporto tra domanda e offerta. Evidentemente - dice il virologo - c'è una domanda gigantesca da parte delle persone di informarsi, che i media intercettano, e chiaramente l'offerta viene dalle persone che hanno da dire qualcosa. Una proposta di questo tipo è principalmente un affronto verso i cittadini».

Dal canto suo il deputato Trizzino finito sotto accusa giustifica la proposta con la necessità di porre un freno allo «strombazzamento mediatico costruito spesso per la ricerca della ribalta e della notorietà, una vergogna».

Ma secondo il virologo Fabrizio Pregiasco sarebbero altre le categorie da regolamentare: «Più che quest'ordine del giorno servirebbe una Carta che contenga modalità e principi per la divulgazione di notizie scientifiche. Una Carta che valga anche per politici, giornalisti, avvocati, cosiddetti esperti, insomma tutti coloro che intervengono sui media. Di sicuro molti aspetti scientifici sono stati trattati come news, notizie di cronaca. Ma con la medicina non funziona così». Per Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica dell'ospedale Sacco di Milano, un conto è «esprimere il proprio pensiero scientifico, cosa che noi professori universitari dobbiamo fare istituzionalmente.

Altra cosa se si tratta di fornire dati di gestione interna o comunque dati sensibili».

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