Guerra in Ucraina

"La Russia ha già perso di fronte a un Occidente più unito e determinato. Ma ora il mondo libero si trova isolato per la mancanza di leader"

Tutti noi abbiamo seguito, con dolore e angoscia crescenti, l'evolversi della crisi Ucraina, il sangue versato, le distruzioni, il riproporsi, nel cuore dell'Europa, di tragedie che speravamo consegnate al tragico passato del XX secolo

"La Russia ha già perso di fronte a un Occidente più unito e determinato. Ma ora il mondo libero si trova isolato per la mancanza di leader"

La democrazia e la libertà nel mondo.

Tutti noi abbiamo seguito, con dolore e angoscia crescenti, l'evolversi della crisi Ucraina, il sangue versato, le distruzioni, il riproporsi, nel cuore dell'Europa, di tragedie che speravamo consegnate al tragico passato del XX secolo.

Di fronte ad una innegabile aggressione da parte russa nei confronti di un Paese neutrale, di fronte ad una palese violazione del diritto internazionale e delle stesse regole in vigore anche in tempo di guerra, l'Europa e l'Occidente una volta tanto hanno saputo reagire in modo equilibrato, fermo e soprattutto unitario.

Da questo punto di vista, la Russia ha già perso la sua partita: se considera l'Occidente un avversario, oggi ha di fronte un avversario molto più unito e più determinato di quanto fosse accaduto negli ultimi anni.

Le cose però cambiano se consideriamo lo scenario globale del pianeta. Da questo punto di vista, la crisi Ucraina ha reso evidente una realtà molto amara. La risposta dell'Occidente è stata compatta, ma cosa intendiamo come Occidente? Gli Stati Uniti, l'Europa, alcuni Paesi del Pacifico tradizionalmente legati agli Stati Uniti come l'Australia e il Giappone. Pochissimo altro, nel mondo. (Persino un Paese importante della Nato, come la Turchia, che ha contribuito alla difesa dell'Ucraina fornendo sistemi d'arma molto efficienti a Kiev, si è dissociato dalle sanzioni messe in atto dall'Occidente. È bene non dimenticare che oggi la Turchia possiede quello che è, almeno sul piano numerico, il secondo esercito dell'Alleanza Atlantica, dopo gli Stati Uniti. Al tempo stesso, la Turchia controlla un'area decisiva dal punto di vista strategico nei confronti della Russia, del Medio Oriente, dell'Asia Centrale e sta svolgendo un ruolo sempre più attivo nel Mediterraneo, incluso l'invio di truppe in un Paese come la Libia, così vicino alle esigenze di sicurezza italiane ed europee).

Ancora una volta rimpiango che i miei tentativi di portare la Russia nel campo occidentale siano stati boicottati da alcuni leader europei. Se ci fossimo riusciti, oggi lo scenario europeo sarebbe molto diverso.

Invece quello che la crisi ucraina ci mette sotto gli occhi è un dato preoccupante per il presente e soprattutto per il futuro. La Russia è isolata rispetto all'Occidente, ma l'Occidente è isolato rispetto a tutto il mondo.

C'è un dato sul quale vale la pena di riflettere. La democrazia liberale, che noi diamo per scontata, è un sistema di governo che riguarda meno di un quarto della popolazione terrestre. Si stima che solo un miliardo e quattrocento milioni di persone, su otto miliardi di abitanti del pianeta, vivano in sistemi che si possono a grandi linee definire liberi e democratici, di tipo occidentale. Gli altri 6.4 miliardi di esseri umani vivono sotto dittature, autocrazie, oligarchie, teocrazie, sistemi in vario modo e diverso grado autoritari o totalitari. I più grandi Paesi del mondo, la Cina, l'India, la Russia e decine di altre nazioni asiatiche, africane, dell'America Latina, in questo momento non sono con l'Occidente.

Sempre più Paesi dell'Africa sono ricondotti nella sfera di influenza cinese, dal punto di vista economico, politico ed anche militare. Naturalmente l'Africa in mano alla Cina significa un grave pericolo per il fianco Sud della Nato, e quindi proprio per Paesi come l'Italia, proprio mentre la crisi ucraina polarizza verso Est l'attenzione dell'Alleanza Atlantica. Noi ci eravamo cullati nel sogno che la democrazia potesse diventare universale e invece oggi, come vediamo, la situazione nel mondo è molto diversa.

È pur vero che il «mondo libero» produce ancor oggi la maggior parte del Pil del pianeta, ma questo è solo un aspetto, per quanto importante, e non è detto che sia destinato a durare per sempre. Del resto, dal punto di vista demografico, la gran parte dei Paesi occidentali è in una situazione stazionaria o di calo, mentre nel resto del mondo, specialmente in Africa, la crescita della popolazione è impetuosa.

Dobbiamo dunque rassegnarci all'idea che libertà e democrazia siano un'eccezione e non la regola? Certo, lo sono dal punto di vista storico. Con l'esclusione degli ultimi due secoli, pochissimi sono stati nella storia dell'umanità i momenti e i luoghi nei quali si sia realizzato qualcosa di simile alla nostra democrazia. La relativa libertà della polis greca e della Roma repubblicana riguardava soltanto una parte ristretta della popolazione maschile, escludeva tutte le donne e molti uomini, fra i quali un vasto numero di schiavi, istituzione questa che è ovviamente incompatibile con qualunque idea di democrazia liberale. La polis greca comunque era un sistema politico che riguardava una parte limitatissima del mondo di allora.

Grandi realtà del passato, dall'Egitto dei Faraoni all'India antica, dall'Impero Persiano a quello Cinese, dai regni dell'America precolombiana all'Impero Arabo e poi a quello Ottomano, hanno dato vita a straordinarie civiltà, nelle quali però il concetto di libertà e democrazia non era neppure concepito, così come non lo era del resto nell'Europa e nelle parti del mondo dominate dagli Europei, almeno fino alla Gloriosa Rivoluzione Inglese e poi alla Rivoluzione Americana.
Dopo la fine della Guerra fredda, qualcuno aveva parlato incautamente di «fine della storia», intendendo con questo la definitiva affermazione, caduto il nazi-fascismo nel 1945 e il comunismo nel 1989, di un ordine mondiale liberale. Una grave illusione ottica, peggiorata dal diffondersi, nello stesso Occidente, di ideologie e di mode culturali che negano il valore del nostro modello di civiltà.

Beninteso, nessuno nega gli errori e i crimini compiuti dai Paesi europei e dagli Stati Uniti nella loro storia. Anzi, fa parte della nostra cultura liberale essere i primi a denunciarli e a condannarli. Ma questo non ci deve mai far perdere di vista l'orgoglio nella nostra identità e la consapevolezza di aver realizzato il sistema politico, civile e sociale più libero e più democratico che l'umanità abbia mai conosciuto nella sua storia. Al tempo stesso è il modello che ha assicurato il maggiore benessere, l'accesso ad un'alimentazione adeguata, a cure mediche ottimali, all'istruzione per tutti in confronto a qualsiasi altro sistema del presente o del passato.

Il nostro più grave errore sarebbe però di dare come scontato e definitivo un sistema che viene messo in discussione in gran parte del mondo e che per esempio in Italia, su tremila anni di storia, esiste da 75 anni perché solo con l'introduzione del suffragio universale femminile, avvenuta nel 1946, si poté parlare di democrazia compiuta.
L'amara realtà della quale dobbiamo prendere atto è che l'Occidente, per la mancanza di leadership autorevoli negli anni recenti e nel presente ma anche per scarsa fiducia in sé stesso, nelle proprie idee, nel proprio sistema di valori, non ha saputo creare né un sistema di alleanze né una proposta politica ed economica attrattiva paragonabile a quella avanzata dalla Cina come la «via della seta». Al contrario, l'Occidente ha fatto registrare alcuni rovinosi arretramenti, per esempio in Afghanistan, che ne hanno minato ulteriormente la credibilità agli occhi delle classi dirigenti e delle opinioni pubbliche dell'intero pianeta.

L'Europa in tutto questo rischia davvero di essere nei decenni a venire il manzoniano «vaso di coccio fra i vasi di ferro». I nostri Paesi non hanno né la forza militare, né la condizione di isolamento geografico che in una certa misura tutelano il Nord America. Si può essere «giganti economici e nani politici» solo fino a quando qualcun altro è disposto a farsi carico della nostra sicurezza e della nostra libertà. Questa è la ragione per la quale siamo legati da un debito inestinguibile di gratitudine e di lealtà agli Stati Uniti. Ma sono sempre più evidenti i segni di un inevitabile ridimensionamento del ruolo di Washington come tutore della sicurezza collettiva perché preoccupato sempre più dalla sfida della Cina sul Pacifico.

Ecco dunque che l'unità politica e militare dell'Europa, tante volte invocata, diventa non più solo una scelta auspicabile ma una necessità ineludibile, di fronte alle sfide dei totalitarismi imperialisti come quello cinese, e di fronte alle sfide dell'integralismo religioso islamico, di fronte alle ondate migratorie incontrollate. Unità che significa prima di tutto un'autentica consapevolezza e condivisione dei valori sui quali si fonda il nostro modello sociale e civile. Quei valori sono in pericolo e nessuno è in grado di tutelarli da solo. Questo è l'errore di prospettiva dei cosiddetti sovranisti. L'unico modo per esercitare un ruolo nel mondo, ma anche per difendere il nostro stesso modo di essere è unire le forze, economiche, politiche e militari. Noi lo chiediamo da molti anni, ma fino ad ora i passi avanti compiuti sono stati solo simbolici. E tuttavia dobbiamo renderci conto che quello che ci unisce, come europei, è molto più forte di quello che ci divide.

Oggi un effetto paradossale del conflitto in Ucraina è quello di aver condotto l'Europa, e tutto l'Occidente, ad una unità di linguaggio e di intenti che non si conosceva da tempo.

Credo che proprio il Partito Popolare Europeo, che è la maggiore famiglia politica in Europa, possa svolgere in questo momento un ruolo molto importante. Noi siamo parte del Ppe, perché è la famiglia politica che più fortemente crede nell'Europa, che più si identifica con i valori fondanti dell'Europa liberale e cristiana, in stretta sintonia con il resto dell'Occidente. Per questo i Popolari possono essere il motore di quel salto di qualità che è oggi sempre più necessario. Un salto di qualità possibile solo se cominceremo davvero a pensare come europei uniti da valori comuni e da interessi comuni.

Un'Europa capace di una politica estera comune deve avere uno strumento militare comune, lo ribadisco ancora una volta. Difesa comune significa economie di scala, significa evitare duplicazioni, significa insomma maggiore efficienza a parità di spesa... Significa raggiungere una massa critica, di uomini e di mezzi, che nessun Paese da solo è in grado di mettere in campo.

Ma un'Europa come quella che vogliamo noi deve anche essere un'Europa capace come si usa dire di resilienza, cioè in grado di adattarsi e di reagire alle emergenze che ha di fronte.

Possiamo cominciare a farlo ricorrendo agli strumenti che già esistono, come la Pac, la Politica agricola comune. (Lo sappiamo bene, è uno strumento che in passato è stato oggetto di conflitti aspri fra interessi nazionali. Conflitti che spesso hanno danneggiato il nostro Paese). La nuova politica agricola comune dovrebbe servire come strumento di solidarietà fra gli Stati europei, per far fronte per esempio alla imminente crisi alimentare a livello mondiale, scatenata anch'essa dagli effetti diretti e indiretti della guerra in Ucraina.

Si possono creare altri strumenti simili in differenti campi, per esempio una vera e propria unione nel settore dell'energia, che si traduca nella diversificazione e messa in comune degli approvvigionamenti e degli stoccaggi per sfruttare in modo intelligente e coordinato la dimensione economica dell'Europa, anche nei rapporti con i Paesi fornitori. Solo così fra l'altro potremo raggiungere gli ambiziosi obbiettivi insiti nel Next generation EU (cioè il Recovery Plan), verso la decarbonizzazione, senza con questo indebolire il nostro settore produttivo od esporci a ricatti geopolitici.

Naturalmente perché tutto questo sia possibile, perché l'Europa possa parlare con una voce sola nel mondo, sono necessari cambiamenti strutturali all'architettura delle istituzioni europee.

È necessario passare, in seno al Consiglio Europeo, dal voto all'unanimità a quello a maggioranza qualificata, in alcune materie, soprattutto in quelle della politica estera e della difesa. So bene che in passato anche l'Italia è stata cauta su questo tema, nel timore che rinunciare ad un «diritto di veto» rendesse più difficile tutelare i nostri interessi nazionali. Però oggi il principio dell'unanimità, che consente il diritto di veto, significa rinunciare ad ogni idea di sovranità europea, di soggettività politica e militare dell'Europa. E questo non è nel nostro interesse.

In ogni caso si può procedere per gradi, anche sulla strada della integrazione militare, con il ricorso allo strumento delle cooperazioni rafforzate, dove un nucleo di Paesi fa da battistrada e altri si aggiungono via via. È lo stesso metodo che è stato usato per l'euro, un metodo che ha funzionato e che regge ancora bene, nonostante i gravi errori di partenza della moneta comune.

Di tutto intendo discutere con i leader europei, a partire dai leader dei partiti del Ppe, per vedere se è possibile giungere ad una iniziativa politica comune.

È un contributo che sento di avere il dovere di dare al futuro del mio Paese, che oggi come non mai si identifica con il futuro dell'Europa.

L'alternativa all'unione politica, economica e militare, per l'Italia e per l'Europa, non è più solo la marginalità, potrebbe essere addirittura, in prospettiva, la scomparsa - almeno da questa parte dell'Oceano - della Democrazia Liberale.

Speriamo non sia troppo tardi.

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