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Scambio di accuse tra Salvini e Meloni per la "fatal Verona". L'idea di un vertice per non dividersi

Altro che "pace di Verona", com'era stata battezzata al primo turno l'alleanza Lega-Fdi

Scambio di accuse tra Salvini e Meloni per la "fatal Verona". L'idea di un vertice per non dividersi

Altro che «pace di Verona», com'era stata battezzata al primo turno l'alleanza Lega-Fdi. Dopo il ballottaggio perso clamorosamente nella città scaligera si riapre il varco tra Salvini e la Meloni, che si rinfacciano vicendevolmente la sconfitta, lì ma anche altrove. È un braccio di ferro che va avanti da mesi e che è costato già parecchio al centrodestra e, se non risolto, rischia di portare ad altre sconfitte pesanti (il voto in Sicilia è dietro l'angolo ma gli accordi sono lontani, quello in Lombardia poco più dopo e già si registrano tensioni).

Entrambi i leader, il giorno dopo, non fanno nomi ma è molto chiaro a chi si riferiscano. Dice Salvini: «Non è possibile perdere città importanti perché il centrodestra si divide e sceglie di non allargarsi e di includere altre forze ed energie, per paura, per calcolo o per interesse di parte». Il calcolo e l'interesse di parte sarebbe ovviamente quelli della Meloni, che secondo il leader della Lega sta giocando da tempo una partita tutta per sè, anche a livello nazionale, per aumentare i consensi ai danni degli alleati (e infatti la Meloni commentando i risultati ci tiene a rivendicare che Fdi «ha fatto da traino alla coalizione al primo turno). La sua lettura è tutta all'inverso rispetto a Salvini: «Ho trovato curiosa la polemica sul mancato apparentamento a Verona da parte degli alleati con tanto di attacco al sindaco a urne aperte, mentre a Catanzaro Fdi sosteneva lealmente un candidato che ci aveva negato l'apparentamento. Occorre ricordarsi che l'avversario è sempre la sinistra e mai il partito alleato» commenta la Meloni, secondo la quale (soprattutto) la Lega sarebbe impegnata più a contrastare la crescita di Fdi e ad ostacolare la sua leadership più che a combattere gli avversari di sinistra. L'«attacco al sindaco ad urne aperte» di cui parla è un'altra frecciata diretta a Salvini, che in una intervista domenica mattina aveva dato per perdente Sboarina. I leghisti fanno notare gli errori della Meloni, «già aveva sbagliato alle comunali di Roma puntando su Michetti, Sboarina non ha ubbidito alla sua indicazione di apparentarsi e Musumeci sembra fare di testa sua». Morale leghista: le sue prove da leader di centrodestra non sono granché. I meloniani invece suggeriscono di guardare fuori Verona per vedere le colpe degli alleati: «Ad Alessandria, dove FdI è il primo partito, abbiamo perso con il candidato Lega, e a Monza dove non è stato rieletto il sindaco uscente di FI» dicono dal quartier generale della Meloni.

Entrambi, però, concordano nella necessità di incontrarsi, chiarirsi ed evitare nuove rotture. «Per me l'incontro si può fare anche domani» assicura Salvini, ieri impegnato in un vertice al Pirellone per cercare di disinnescare la «mina» Moratti, insieme a Giorgetti e Fontana, blindato dal segretario, mentre in mattinata Salvini si era sentito con Berlusconi, una telefonata «cordiale» in cui hanno ribadito la necessità di tenere unita la coalizione. «Chiederò di vederci il prima possibile per evitare ulteriori divisioni», sostiene anche la Meloni. Tutti d'accordo quindi nel vedersi e sanare le divisioni? Sarà, ma l'incontro chiarificatore era atteso già ad aprile e non c'è mai stato. E la grana Sicilia è pronta ad esplodere. Tanto che la Meloni avverte: «Basta litigi, a cominciare dalla Sicilia. Non si può rischiare di mettere a repentaglio il risultato delle politiche».

Numericamente, fanno notare dalla Lega statistiche alla mano, la coalizione passa da 54 a 58 sindaci, il centrosinistra da 48 a 38. Ma le città hanno pesi molto diversi, e le sconfitte al nord (Verona, Padova, Monza, Como, Lodi, Piacenza, Alessandria) pesano, soprattutto per il Carroccio, l'ex «partito del nord». Per la leadership di Salvini nel centrodestra è un altro colpo. Ma anche per quella della Lega, dove covano da mesi i malumori dei governisti (Giorgetti in testa) e dei governatori, da Zaia a Fedriga. Quest'ultimo esce bene dalle amministrative perchè la Lega in Friuli-Venezia Giulia ha ottenuto buoni risultati. E quindi si rafforzano le posizioni di chi guarda al presidente friulano come prossimo segretario federale leghista.

Anche il Veneto ribolle. L'assessore regionale Roberto Marcato è preoccupato: «Se non cambiamo atteggiamento e non facciamo una seria riflessione perderemo le politiche e la Regione». Ancor più caustico l'eurodeputato Gianantonio Da Re, anti-salviniano: «A Padova e Verona abbiamo una perdita di consenso pesantissima.

Serve un'assemblea della Lega in Veneto con Matteo Salvini e gli altri di via Bellerio che vengano a parlarci di futuro».

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