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Se la "social" democrazia contagia i referendum

La politica sottovaluta la social democrazia di Facebook e Twitter? Le lobbies che vogliono condizionare l'agenda politica da qualche settimana hanno un'arma in più: la firma digitale

Se la "social" democrazia contagia i referendum

La politica sottovaluta la social democrazia di Facebook e Twitter? Le lobbies che vogliono condizionare l'agenda politica da qualche settimana hanno un'arma in più: la firma digitale. Nei giorni scorsi è passata quasi inosservata la Gazzetta ufficiale che dispone «la creazione di una piattaforma per la raccolta delle firme referendarie in formato digitale certificato». Addio ai vecchi banchetti con le bandiere dei proponenti, anche la Cassazione dovrà farsene una ragione. Basterà dunque un clic - con l'ok finale della Consulta - per trascinare gli italiani alle urne. Una buona notizia? Forse no, almeno a leggere le riflessioni del paper Il game changer referendario realizzato da FBLab, il Centro Studi di FB&Associati, la prima società di consulenza in public affairs, advocacy e lobbying fondata da Fabio Bistoncini.

Finora il referendum è stato uno strumento per sanare la possibile «sfasatura» tra Parlamento e opinione pubblica, come successe per il divorzio o l'aborto. Aldo Moro vedeva nel referendum «una minore compressione da parte delle Camere nei confronti di un'evoluzione della coscienza pubblica», per Luigi Einaudi «è un correttivo del sistema della rappresentanza», entrambi però ipotizzavano un potenziale indebolimento dei meccanismi della democrazia rappresentativa.

Se da un lato è giusto accelerare sulla democrazia diretta dopo la pandemia (ma senza i guasti che conosciamo, vedi i concorsi pubblici da remoto a rischio incostituzionalità), dall'altro si snatura la ratio dello strumento pensato dai padri costituenti, piegando le Camere a legiferare su istanze divisive o scomode come eutanasia, nucleare o cannabis ma senza che ci sia un reale sentiment, quanto piuttosto una suggestione invocata «in nome del popolo italiano» e sapientemente orchestrata attraverso le tecniche di manipolazione dell'opinione pubblica a colpi di fake news. Tanto che il costituzionalista Vladimiro Zagrebelsky ha paragonato la firma digitale a «qualunque improvviso ed emotivo like». Esiste un «pericolo plebiscitario»? Se i limiti ai quelli abrogativi paiono sufficientemente strutturati a garantire che quesiti malposti possano ingenerare leggi inapplicabili con uno sgraziato «taglia e cuci», il tema dell'iniziativa legislativa non prevede particolari preclusioni, se non quelle previste dall'articolo 71. Ma vista la velocità con cui si possono raccogliere le firme, il pericoloso antagonismo tra volontà parlamentare e volontà popolare potrebbe raggiungere livelli patologici. A chi gioverebbe? Certamente alle lobbies, dotate di risorse e capaci di grandi mobilitazioni, che troverebbero così uno sterminato spazio autonomo di rappresentanza.

Senza parlare dei rischi che la digitalizzazione della preferenza referendaria avrà sulla privacy. A quando il televoto?

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