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La sinistra in caduta libera: aspettava il ko del governo ma esplode su Soumahoro

Prima creano il totem "acchiappavoti" poi lo scaricano in malo modo. De Magistris: "Da tempo c’erano voci su di lui..."

La sinistra in caduta libera: aspettava il ko del governo ma esplode su Soumahoro

Ora si scopre che tutti sapevano, o almeno sospettavano: dalla Cgil alla Caritas, dai soci della cooperativa a esponenti del Pd, passando per le procure e financo per Luigi De Magistris. Tutti, tranne i due leader che hanno chiesto a Aboukabar Soumahoro di candidarsi e ne hanno fatto una delle icone della propria campagna elettorale, forti della sua popolarità a sinistra.

C'è un dolente Angelo Bonelli (il Verde) che si descrive «turbato, amareggiato, profondamente ferito dal punto di vista, più che politico, umano per questa vicenda». E che ora si mostra implacabile con l'ex candidato-simbolo: «Le risposte date da Soumahoro non sono sufficienti allo stato attuale, dovrebbe essere lui il primo a dare risposte più compiute, cosa che non ha fatto. Noi quello che dovevamo dirgli lo abbiamo detto, abbiamo accettato la sua autosospensione». C'è un irritato Nicola Fratoianni (il Rosso) che tace ma fa trapelare che si era perso il messaggio Instagram del prete che oggi - ex post - racconta di averlo «avvisato che rischiava l'autogol» a candidarlo. Che disdetta. C'è pure Gad Lerner, che sul Fatto ricorda di aver apprezzato Aboukabar e sostenuto le sue lotte, ma gli rinfaccia gli «stivali infangati» che un leader sindacale come Di Vittorio - dice - mai avrebbe usato per farsi propaganda.

Il fall-out del caso Soumahoro - peraltro non indagato - rappresenta la vera crisi post-elettorale della sinistra radical-moralista, quella che attendeva l'esplosione della (pur scombiccherata) maggioranza di destra e si trova invece a fare i conti con il crollo dei personaggi eletti a simbolo e con l'eterno male del giustizialismo verso gli altri, che ora gli si ritorce contro.

Ora c'è la gara a tirar pietre postume sull'ex icona. Spunta persino l'ormai appannato De Magistris, che non riesce mai a togliersi la toga del magistrato dell'accusa (per lo più infondata, a giudicare dagli esiti delle sue inchieste in tribunale), e che ora fa quello che la sapeva lunga: «C'erano voci ben prima della campagna elettorale, e non venivano da avversari politici di Soumahoro», racconta. Per poi prendersela con il partito rossoverde che (a differenza della sua sfortunata Unione Popolare) un po' di parlamentari, incluso il contestato sindacalista, li ha eletti: «Non voglio dire che lo abbiano usato, ma certo è stato candidato nella perfetta consapevolezza che c'erano vicende opache». Peccato, però, che appena un anno fa, il medesimo De Magistris non avesse trovato nulla di «opaco» nel sostegno offerto da Soumahoro alla sua campagna elettorale (sfortunata anch'essa) per la guida della regione Calabria. Il sindacalista aveva anche partecipato a comizi e manifestazioni a favore di Dema. Che oggi, anche lui, si ricorda improvvisamente che «c'erano voci». Mentre dalle colonne di Repubblica, Stefano Cappellini ricorda che la selezione delle candidature non va lasciata a «intellettuali, artisti, influencer» alla Saviano o a salotti della sinistra tv come Propaganda Live. E così, mentre a sinistra tutti mollano di gran carriera il proprio eroe di ieri, a non unirsi all'accanimento sul Soumahoro caduto in disgrazia sono personaggi lontani dalla retorica leftist: da Paolo Mieli, che si chiede ironico: «Come mai non gli abbiamo mai chiesto nulla prima, visto che tutti ora dicono che sapevano», a Matteo Renzi: «La sinistra radical-chic con la puzza sotto al naso prima crea i totem e poi li distrugge in un secondo.

Mi fa ribrezzo questo atteggiamento».

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